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naio esistesse una società di studenti con un

programma definito.

La sera dell’ 11 gennaio 1821 nella platea

del teatro D’Angennes, che era il ritrovo degli

studenti soliti a portarvi la loro chiassosa fe­

stività. mentre stava per alzarsi il sipario sul­

l'ultimo atto d’una commedia recitata da una

compagnia francese, tre studenti, seguiti quasi

subito da un quarto, allo scopo di suscitare

l'ilarità e gli applausi dei compagni si pone­

vano in testa un berretto rosso, di quelli che

s’usano ancora nel Vercellese. La Polizia a

malgrado dell'indifferenza del pubblico, trovò

che quei berretti rassomigliavano troppo al

berretto frigio, ed erano un segnale rivoluzio­

nario o una provocazione; quindi ordinò che

i colpevoli all'uscita fossero arrestati. Tra i

carabinieri e gli studenti nacque un para­

piglia, nel quale intervenne anche il Brofierio,

che fu poi obbligato a nascondersi tra balle

di merluzzo e sacchi di farina nel retrobottega

di un vermicellaio. Ma, lì per lì, degli studenti

non ne fu arrestato che uno; gli altri vennero

ammanettati nella notte.

Il

giorno dopo alPUniversità le lezioni si

svolsero, nella mattinata, con la solita rego­

larità. fra i vivaci commenti dei giovani.

Nel pomeriggio, essendosi già diffusa la no­

tizia che gli arrestati erano stati tradotti, uno

a Ivrea e due a Fenestrelle e che erano stati

fatti passare per la strada più centrale, Dora-

grossa — ora via Garibaldi — fra i carabinieri,

l'agitazione si fece più viva e minacciosa. Corre­

vano nelle aule foglietti di protesta contro la

violazione statutaria degli studenti e propositi

di ribellione a costo di « vincere o morire ».

Si può rifare coi documenti la storia minuto

per minuto dello svolgersi di questi avveni­

menti: i primi assembramenti nel cortile alla

fine delle lezioni, gli incoraggiamenti dei pro­

fessori a sciogliersi, l’appostamento di due

carabinieri al portone, l’arrivo dell’assessore

Bonisani e del Cansore, il sopraggiungere di

altri studenti, la guardia dei carabinieri al

Collegio delle Provincie perchè quegli studenti

non uscissero a dar man forte ai compagni.

Il Governo fu preso dal panico e, come di

solito accade, con le più intelligenti previ­

denze attizzò la resistenza; accampò dinanzi

a Palazzo Madama carabinieri a piedi e a

cavallo, collocò dappertutto guardie, grana­

tieri e drappelli di fanterìa, armò nelle caserme

i soldati di ordinanza, raddoppiò le scorte e

tenne pronta l’artiglieria. Calavano le prime

ombre della sera e la gente s’ affollava curiosa

e stranita dallo spettacolo inatteso. Un distac­

camento di carabinieri fa fatto procedere per

via Po a scopo dimostrativo mentre

un urlo

di protesta echeggiava per le arcate dell’Ate­

neo. Dentro,

i

giovani già disselciavano il cor­

tile e ammassavano le pietre per barricare il

portone di via della Zecca, mentre una prima

rappresentanza e poi una seconda si recavano

dal ministro Balbo a chiedere il rispetto della

legge. Il Balbo consigliava di desistere da una

;-ommossa che poteva avere conseguenze gra­

vi: quindi si recò col Rettore in mezzo ai gio*

vani, salì su un rudere romano ad arringarli

e vedendo che i suoi inviti alla moderazione

e alla calma cozzavano contro la decisa persi*

stenza degli studenti nel volere il rilascio dei

compagni, li consigliò che eleggessero una de*

putazione da mandare alla Segreteria di Stato

promettendo di aiutarli: intanto rimanessero

tranquilli.

Nel freddo della prima notte gli studenti

si aggirano nel peristilio, altri completano le

barricate coi banchi, altri vanno e vengono

dal cafle Thiene. La Deputazione torna pro­

mettendo fra mezz’ora una risposta da parte

del ministro Balbo e tutti si chiudono tran­

quilli e fiduciosi nel recinto. D’un tratto,

mentre il Balbo stava perorando presso il Re

qualche provvedimento benevolo, il conte Di

Revel. governatore di Torino, si mette a capo

delle truppe, fa visitare i fucili che non fos­

sero carichi, raccomanda la calma agli ufficiali

e dà l’ordine di impadronirsi del cancello del-

l’ L niversità e disperdere così i riottosi in via

della Zecca. Ma c’era una buona parte di

ufficiali aggregatisi, pare, volontariamente e

col presentimento di dover menare le mani.

Erano le otto di sera. Al fragore delle scia­

bole, al battere del calcio dei fucili, gli stu­

denti chiusero precipitosamente il cancello t

lanciarono alcuni sassi colpendo leggermente

qualche soldato. Fu il segnale. Si udì il gridtl

« A la charge >e battere il tamburo a passa

di carica. Gli assalitori si gettarono nel cori

tile e poi per gli scaloni, le gallerie, le aule

fin nella scaletta del campanone delTUniveri

sità e nella chiesa ove era corso a rannicchiarfl

Angelo Brofferio. Molti furono i feriti: diciotta

all’Ospedale San Giovanni, altri medicati if l

case private.

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La relazione ufficiale escludeva che vi foffl

sero dei morti; ma nel proclama che, una setti!

mana dopo, gli studenti torinesi di tutte i l

Facoltà, dai chierici della teologia agli s »

denti di chirurgia e di matematica lanciarono

ai loro colleghi delle altre Università, si denum

ciavano undici morti e trentaquattro ferita

Carlo Alberto, allora Principe di pensieri libM

rali, la sera stessa andava per le case a vù fl

tare i feriti.

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Gli studenti però, con quelli delle Provincifl

e con parte della nobiltà e borghesia piemoM

tese iniziavano tre mesi dopo, a San SalvariJ

la grande fiamma del Risorgimento.

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prime erano state scintille, in diakuB

piemontese « prime splfie ».

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