

Col «
Falstaff
», Verdi contempla ormai dai
culmini il suo mondo poetico rasserenato.
Il «
Falstaff
» — la catarsi purificatrice che gli
sciolse il volo sulle più alte vette della bellezza
e che costituisce l’ultima gemma della sua
immortale corona — è un’opera comica.
Ed egli con manzoniana consapevolezza
dell’umanità — di cui goccia a goccia ha
filtrato il dolore e le gioie intense — sorride
con colui che famigliarmente chiamava il
« Pancione » e con lui canta sino all’epilogo
della doviziosa partitura, concludendo col
giocondo ritornello che Arrigo Boito, maestro
di sottigliezze letterarie, gli offriva: «
tutto
nel mondo è burla
». Cui rispondono in coro
i compagni: «
tutti gabbati
,
tutti gabbati! »...
Non pessimismo, non ironia, non l'umo
rismo che increspa le labbra, ma che cela
spesso una lacrima repressa, un singulto...
No. Una innocente soluzione.
Artista italiano, anche in questo, Giuseppe
Verdi. Figlio di questa terra magnifica che
accanto al teatro tragico ha pur create le
maschere. I due volti della vita, le umane
vicende illuminate dal nostro vivido sole
e dall’amore che per la vita vissuta, pel teatro
(oseremmo dire) della vita, noi tutti un poco
filosoficamente nutriamo...
Giustamente il Governo Fascista, valoriz-
zatore delle nostre più fulgide glorie, volle
quest’ anno, quarantesimo anniversario della
morte del grande — 27 gennaio 1901-1941 —
celebrare questo eroe di nostra gente, sintesi
e simbolo eterno della Patria vivente ed ope
rante e di continuo rinnovantesi, non men
nel campo purissimo dell’arte e del pensiero,
quanto in quello dell’azione fattiva.
Giuseppe Verdi riassume appunto queste
nostre virtù millenarie. Ed ora più che mai,
nel cimento immane che colora di rosso san
guigno il mondo scatenato nella battaglia
pel trionfo di una più alta giustizia sociale,
il nostro pensiero vola a lui, a questo nume
indigete che ci invita a guardare sempre più
in alto: all’ Italia in armi, alla Patria sua e
nostra, così ricolorata quale egli la vide,
quale la servì, da rapsodo, da aedo, da apo
stolo, da poeta, negli anni eroici della sua
meravigliosa giovinezza; quale egli la con
tenne dentro di sè negli accenti virili della
sua stupenda maturità. E come cent’anni or
sono, allorquando i patrioti del Risorgimento
usavano le lettere del suo nome per inneggiare
allegoricamente a Vittorio Emanuele Re d’ Ita
lia, il grido di <»
l
rdi » può risuonarne an
cora nel duplice significato: di omaggio al gran
Re Vittorioso e di onore al sommo Maestro
che la Patria ha fatto più grande negli illi
mitati confini dell’arte.
EDMONDO
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ROCCO