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Impresioni di viaggio di Masimo d’Azeglio

Se ne'

Ricordi

ii d‘ Azeglio non accenna acerti

suoi viaggi in Sicilia, tuttavia attraverso me­

morie e dalle lettere fra il 1842 e il 1843, da lui

lasciate, si può narrare codesto viaggio dello

scrittore e patriotta piemontese e toccare

delle amicizie strette nell’ isola e il ricordo

che di essa serbò nell’ animo e del vero com­

piacimento nel rievocare impressioni e cor­

tesie ricevute. Spirito irrequieto, volentieri

il d'Azeglio percorreva nuovi luoghi e cercava

nuovi panorami, portato come era dal suo

spirito al nuovo e all’avventuroso. La sua

origine patrizia, la sua vita giovanile di scapi­

gliato. il suo mestiere di pittore, le sue rela­

zioni col Manzoni, e i suoi romanzi che ormai

correvano nelle mani di tutti, muovevano

intorno a lui una certa curiosità. Era già

stato sin dalla prima giovinezza, un po' qui

e un po’ lì per l'Italia prima a Roma, dove

suo padre rappresentava i reduci principi

sabaudi, poi in Piemonte, e poi ancora a

Roma dopo il servizio militare, fra il 1820 e

il 1826. preferendo la vita libera d’artista

a quella compassata del patrizio.

Aveva da non molto sposato Luisa Mau-

mari vedova di Enrico Blondel, fratello della

prima moglie del Manzoni, e con lei volle

compiere un viaggio in Sicilia « paese stu­

pendo. favorito da Dio e malmenato dagli

uomini , voleva riabbracciarvi il fratello Pro­

spero. che fin dal 1833 viveva a Palermo,

gesuita, insegnante di diritto naturale al

Collegio Massimo e a cui era legato da vivi

vincoli d'affetto. Il De Rubris. che è fra i

più illustri cultori di studi azegliani, ci ha

fatto note, alcuni anni fa, delle lettere di

Tommaso Grossi scritte dal d’ Azeglio da

Palermo, da cui si apprende come Massimo

fosse partito da Genova il 28 gennaio 1842,

e dopo un viaggio burrascoso, giungesse a

Palermo: se Torino pare al d’Azeglio mono­

tona e reazionaria, se Roma gli fa impres­

sione di metropoli splendida e spensierata,

senza morale e senza governo, Palermo lo

commuove e lo colpisce.

Col fratello. Massimo passò la maggior

parte del tempo: ben due settimane trascorse

nella metropoli siciliana. Credo — egli scrive

— si troverebbero difficilmente due uomini

che in fatto d'opinioni politiche e religiose

fossero più diametralmente opposti di noi

due. come se ne troverebbero altrettanto

difficilmente due altri che si volessero bene

più di quello che ce

mt

siamo voluti mio

fratello ed io dall’infanzia fino alla morte ».

Prospero — al secolo Luigi Taparelli

d’ Azeglio — dell’Ordine di Gesù, fu a sua

volta ben felice di riabbracciare il fratello

che gli aveva procurata una così bella improv­

visata: » Mentre stavo conversando con i

miei confratelli sono avvisato di essere chia­

mato alla camera ove era Massimo »: così

scriveva Prospero a suo fratello Roberto, il

2 febbraio 1842. E continua: « Tu sai già il

nostro primo incontro perchè egli te l’ ha

scritto: ma non puoi sapere tutta la mia

consolazione, niuno te la può scrivere, nep­

pure io medesimo, che la provai... Quanto

abbiamo parlato di te, delle tue tribolazioni,

delle buone opere che fai... vorrei parlar teco,

vorrei esprimerti come mi sono aperto con

Massimo, vorrei sentirti, rievocarti e riab­

bracciarti. Ti troveresti qui in un mondo

nuovo, un mondo propizio ai forestieri, mondo

di ammiratore, fra cui Massimo va passeg­

giando come un semidio (non voglio dire

come una bestia nera) e dispensando a questo

un guardo a quel... un detto, e tutti ne riman­

gono estatici! Se sapesti quante istanze ho

avute di persone che volevano vederlo, cono­

scerlo, parlargli >. D’ Azeglio, tanto nel primo

che nel secondo viaggio in Sicilia avvenuti

a distanza di pochi mesi, aveva avuto infatti

liete accoglienze da Francesco Maccagnone

Principe di Granatelli, a cui nel 1844 il d’ Aze­

glio presenterà il Confalonieri, e molto più

innanzi in casa sua farà stringere amicizia

col Farini e col Persano.

Il Granatelli ricevette il d’Azeglio « more

siculo » e lo stimò uno degli uomini migliori

che avesse mai conosciuto. E si ebbe anche

feste e accoglienze affettuose dal Daita che

diverrà deputato nel 1848. dall’ Amari, dal

Giacheri. dalla colta poetessa Giuseppina Tur-

risi Colonna, donna di larga cultura, di fer­

vido amor patrio che trasfondeva nei suoi

canti, che solitari si levarono nella Sicilia

prima del 1848.

... / ri ri

desterò

,

detterò i morti

>

all'opra generosa

la

r

ita sacrerò

,

gli inni, il pensiero;

e più innanzi

Suoni a rampogna almen. suonin miei

alla /iacea genia

[c«n

se agli studi severi

,

alle leggiadre

opre tu inran non mi crescesti

, •

madre

.I

Il paesaggio siciliano lo conquista, il pano­

rama della conca d’oro colpì l’anima del

d'Azeglio: scrivendo alla moglie durante la

seconda dimora palermitana tra il luglio e

l'agosto del 1843 si trattiene su gli incanti

della regione, si indugia a descrivere una

passeggiata alla marina, oggi nota col nome

di « Foro Italico » •<nel mezzo verso Porta

de Greci è un gran palco illuminato, con una

orchestra che suona pezzi di musica. Una

infinità di carrozze girano e si fermano ogni

tanto ad ascoltare; il marciapiede è pieno di

pedoni: la terra, il mare, la luna, il fresco,

era una scena di mille e una notte... ». Era

molestato però da un caldo terribile... « Tut-

t'altra cosa di quello di Sorrento e di Napoli;

nella camera mia — scriveva alla sua Luisa —

la sera quando vo a letto, è come un forno ».

Ma s’era nel cuore dell’estate e non si poteva

avere molto fresco specie in Sicilia. E ancora

al 25 luglio soggiungeva: •<L ’aria è grossa e

pesante e ogni mattina mi sveglio col mal di

capo, che passa però lavandomi il viso.

Quando non c’ è ventilazione il caldo è serio

davvero; ma quasi sempre un po’ d’ aria si

sente ». E al 28 luglio: « Qui abbiamo avuto

finalmente il terribile scirocco: credevo cono­

scerlo da Roma, ma mi ingannavo. Il cielo

era offuscato da caligine, e s’era sentito prima

tuoni lunghi e sordi in lontananza; a un tratto

sento nella cappa una soffiata calda come

l'alito di uomo, poi avanti sempre più forte

e a poco a poco levarsi un mondo di polvere

rossiccia che sale e nasconde l’aria, Palermo,

Monte Pellegrino, il mare e tutto il paese

prende una tinta giallastra che pare un acque­

rello a bistro ».

Valendosi degli studi pittorici fatti durante

la sua dimora siciliana e della « poetesca

memoria », tentò il d’Azeglio di ritrarre sulle

pareti di una sua sala a Milano le vedute

delle quattro maggiori città della Sicilia, e

due altre località meno importanti per riem­

pire due campi che gli rimanevano: volle

così dedicare — come scriveva alla poetessa

Turrisi Colonna — la sua intiera camera a

memorie siciliane.

Egli stesso afferma che durante la dimora

siciliana meditava di compiere alcuni pae-

saggi per cui andava tirando giù dal vero

come gli si presentavano le occasioni. Tornato

a Milano ne informava la Turrisi Colonna,

questa gentile alunna delle Muse e le scriveva:

» non

posso dirle il piacere che ho provato in

questo lavoro e che provo sempre riveden­

dolo: avrei potuto scrivervi per rammentarvi

l'ospitalità ricevuta fra loro, ma questa memo­

ria l’ho scritta nel cuore, uè si cancellerà

Bai ». Cinque anni dopo la voce precorritrice

della patriottica poetessa,

onore delle

lettere

siciliane, doveva spegnersi fra il compianto

di ognuno.

Ma la compagnia preferita era però per

Massimo quella del fratello: con lui va alla

Favorita, con lui gira pe’ dintorni di Palermo

su di un muletto; «io mi son messo, egli scri­

veva, alla palermitana, e giro per la città

sull’asino, pensando con dispiacere che a

Milano non si crede che questo interessante

animale sia degno di portare un galantuomo ».

I lunghi colloqui col fratello gli fanno vieppiù

scoprire il raro accordo di molteplici virtù,

le belle doti, i generosi pensieri. Luigi Tapa­

relli — Prospero come sempre lo chiama

Massimo d’Azeglio — teneva allora lezioni

nel Convitto dei Gesuiti, posto ne’ locali dove

oggi vi- è la sede del Regio Liceo Vittorio

Emanuele. L ’ammirazione che il fratello laico

aveva per il fratello religioso era pienamente

giustificata, chè infatti Luigi Taparelli aveva

sortito da natura una tempra di ingegno

acutissima e singolarmente disposta alla spe­

culazione. Il si»" insegno era meravigliosa­

mente versatile, poderosamente aiutato da

una immaginativa pronta, splendida, nobi­

lissima. Queste attitudini gli conferivano abi­

lità in ogni nobile disciplina, tanto da aggiun­

gere nelle arti belle, nella letteratura, nella

pittura non scarsa perfezione, nella musica

grandissima. Filosofo e giurista ci lasciò un

trattato di diritto naturale oltre all’

Esame

critico degli ordini rappresentativi della società

moderna

: più avanti, a Roma, diresse la

« Civiltà Cattolica ».

A Massimo doleva lasciare Palermo e il

fratello, ma anche questa volta dovette dirgli

addio, non senza lasciargli, di soppiatto de’

Superiori, un credito aperto di

5000

lire ed

ottenendo dal Padre Superiore del Convento

che il fratello andasse a pranzo con lui.

Da Palermo Massimo partì alla volta di

Messina e un giornale messinese dava notizia

del suo arrivo: « Massimo d’Azeglio, nome

carissimo

e

onorato nelle lettere italiane,

ritrovasi oggi nella patria di Maurolico», e

dopo aver ricordato

che

due anni innanzi

un altro illustre letterato, Cesare Cantù, era

stato ospite di Messina, richiama l’attenzione

sul romanzo

Nicolò de

Lapi.

E

per vero il

d’Azeglio era preceduto da nobile fama, chè

non appena era stato pubblicato

VEttore

Fieramosca,

scritto « per elettrizzare i carat­

teri «, Vincenzo d’Amore aveva tolto nel

1838 dal romanzo azegliano il soggetto per

un’opera seria,

come

più tardi

ne tolse un

altro dai • Promessi Spori »

del Manzoni: la

musica venne

scritta

da Antonio

Laudano

e rappresentata la prima volta nel Refi»

Teatro

« La

Munizione ».

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