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l’attraevano nelle sue giornate tra campagna e città.

Il

capolinea del tram, certi steccati, certi argini e

sca-patc periferici, pali sentiti piti come alberi spogli

d ie quali rigidi segni delle strade moderne, il grigio

dell asfalto, il viadotto, il cavalcavia, paracarri, para­

carri, le case popolari, tutto quanto insomma sa di

strada e poi di « barriera », di quella « barriera » un

po’ reale, un po’ convenzionale, che divide la vita

campestre dalle diavolerie della città.

Questo urbano limite Valinotti l’ha sentito ed

amato per molti anni: varcandolo da una parte e dal-

1 altra ha provato le sue più genuine emozioni fino

•i che gli si è usurato e disciolto in altri argomenti.

L’incontro, ad un certo punto della sua vita, con Al­

berto Savimo, amico invidiabile per la vivacità del-

1 intelligenza, avrebbe anche potuto incidere più pro­

tondamente sulla sua pittura se questa fosse stata meno

abbarbicata ai motivi ed ai sentimenti che s’ù detto:

tuttavia, in seguito a qucU’amicizia, nacque in lui il

desiderio d intellettualizzarsi costeggiando una vaga

mitologia pagana e campestre; desiderio che se in un

primo tempo lo portò a qualcosa che poteva ricolle­

garsi a certo romanticismo paesistico svizzero o te­

desco. doveva poi sempre lasciare in lui la positiva

attitudine a stupirsi e ad interpretare dei fenomeni in

modo diverso da quello che prima gli era consueto.

La ricerca di certe tortuosità di frasche e terreni, il

nuovo amore per spettacoli naturali che sapessero di

agitato scenario, trovano — anche — origine, mi pare,

in qucH’umano incontro oltre che nella naturale ma­

turazione della sua sensibilità.

Le buone frequentazioni 11011 fanno da sole i buoni

artisti ma, per un pittore, è di certo meglio averle e

procurarsele che 110.

L’ultima — personale — allestita dal Valinotti alla

Galleria Martina nel 46 suggeriva poi, e sempre per

via di paesaggi nostrani, certe nostalgie esotiche del

tutto imprevedibili. Sono stati in pochi ad accorger­

sene ma c’erano di sicuro: qualcosa che sapeva di rac­

conto americano, di gente che camminava molto, di

via del tabacco o del carte, per intenderci; ma celato

in paesi consueti dove però quel limite campagna-

città non esisteva più...

Insomma, sarebbe da cicchi o per lo meno da su­

perficiali il non volere ammettere che Domenico Va-

linotti si muove: magari caparbiamente, magari per

dei «complessi » del tutto personali, a volte prendendo

delle cantonate che da quella caparbietà derivano, ma

si muove ed a modo suo. AU’ultima Biennale egli ha

dei paesaggi alpestri con alberi, mucche, voli di corvi:

paesaggi cupi, animali bruttini, vegetazioni antigra­

ziose e vi circolano un sentimento tetro, quasi una

volontà romantica, e un misto di polemica e di buona

fede che 1111 po’ stentano ad amalgamarsi felicemente

in pittura ma che, in un clima di paradossi ratinati

e di centellinati sofismi, si accrescono per quanto in

essi c’è di popolare, di solitario, di umano.

1Tempeste sul mare „ - Quadriennale Torino 1939

1II sentiero delle mucche „ - XXIV Biennale Intera, di Venezia

ITALO CREMONA

“ Marina di Varigotti,. - XXII