

Mario Leoni
E I L TEATRO P I EMONTE S E
Quando Mario Leoni — al secolo G iacomo A lber-
tmt — si dedicò all’arte drammatica, il teatro pie
montese attraversava una crisi delle più acute.
Nato ncH’ciitusiasmo del 1859, quando gli animi
si erano accesi alla fiamma della passione italica c
nulla meglio di una ribalta poteva esprimere l’ansia
e la trepidazione di questa rinata giovinezza, era
naturale che il teatro piemontese si esaurisse allorché
questa passione si affievolì nella diminuita importanza
politica del Piemonte, originata dall'abdicazione di
Torino a capitale.
Ragione di questa crisi
va ricercata anche 111 1111
altro fattore importantis
simo: nel 1X70 la gloriosa
compagnia Tosclli che
aveva fatto delirare le
platee del «Rossini» ed era
diventata l’idolo dei tori
nesi portando sulla scena 1
problemi del popolo, si
scioglie, infatti, per moti
vi d’interesse ed 1 bravis
simi attori che avevano
unito le loro esperienze
di guitti per trovare la vo
ce più persuasiva con la
quale giungere al cuore
degli umili, si suddivisero
111 varie compagnie se
condarie.
Il teatro piemontese
era dunque agonizzante
quando Mario Leoni si
avvicinò ad esso: dispersi
gli attori ed affievolitasi la
tiamma d e lT en tu sia sm o
che gli aveva dato la vita, non restavano, attorno al
nostro teatro, che idee nforinatrici. Mario Leoni le
scartò. Un solo problema esiste, infatti, in teatro: con
quistare il pubblico. F. poiché il pubblico è l'umanità,
il suo cuore si raggiunge soltanto attraverso il riso
od il pianto, la speranza o la lotta; le vie del senti
mento. cioè, su cui rota, da sempre, la vita umana.
Conscio di questa legge fondamentale dell’arte
drammatica, a cui era naturalmente portato dalla
profonda umanità e dall’alto spirito di giustizia che
li' animava, Mario Leoni si chinò prima sull'uomo,
ne scrutò l'anima nel pr»v-
fondo e poi ne portò lo
spinto alla ribalta con
verità ed amore.
Voleva un teatro so
ciale, educativo e morali
sta nel quale tosse attore
il popolo con i suoi pro
blemi, le sue sofferenze, le
sue g ioie e le sue grandez
ze; dopo alcuni tentativi
di minore importanza, vi
riuscì con
'L bihi
ed 1
111,11
mitri
che riaccesero d ’entu
siasmo le platee torinesi
così com e aveva fatto, per
il passato, il
Travet
di
Bcrsczio.
A veva scritto per il po
polo, per quel ceto su cui
s’appuntavano le speranze
di una nuova generazione
sociale: nel pianto, nel riso
e nella psicologia profonda
dei suoi personaggi, il po
polo si ritrovò e le platee,
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