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Parte prima Declino economico ed equilibrio istituzionale (1280-1418)

Per quanto le fonti disponibili siano insufficienti a chiarire a fondo

il problema, sembra invero da escludere ogni collegamento tra la forti-

ficazione e la strada collinare

242

che – ricordiamo – era già adeguatamente

controllata in quota dal castello di Montosolo. Se davvero il nostro

ca-

strum

avesse svolto una funzione pubblica non mancherebbe una sua

menzione nei documenti vescovili e comunali del

xiii

secolo, quando il

dominio delle strade era un problema di grande attualità; il ricorrere del

toponimo

Castellacium

nel 1278 prova, al contrario, che già allora esso

era da tempo in abbandono. I ritrovamenti ivi avvenuti, inoltre, più che

a una fortezza, fanno pensare a una villa o a un monumento funebre di

età romana i cui resti imponenti, a forma di torrione (come suggerisce

la denominazione alternativa di

Turacium

) vennero scambiati per un’ope-

ra fortificata.

Entrati in possesso del rudere, i Necchi non lo utilizzarono per far-

ne il centro di un’azienda (come nella vicina pianura a sinistra del Po

avvenne per il «Castellacium de Vialba»), funzione che nell’area colli-

nare sarebbe apparsa incongrua. Al «Castello dei Necchi» afferiva in-

fatti una quantità di terre del tutto insignificante, né vi sono elementi

per affermare che esso abbia svolto la funzione di dimora signorile:

l’espressione «mota castellacii», talora usata nel

xv

secolo, indica qui

non già una fattoria fortificata bensì – come in molti altri casi simili –

il sito di un castello in abbandono

243

e, per di più, completamente av-

volto dal bosco. Nel 1446, anzi, l’edificio non risulta più denunciato

per se stesso ma è menzionato solo come denominazione dei beni «in

loco dicto ad Castrum illorum de Nechis»

244

.

Quella che passava per una vecchia fortificazione non pare sia stata

rilevante nemmeno nei disegni di scalata sociale perseguiti dai Necchi

poiché essi vennero riconosciuti nobili nel 1408 «grazie ad una paren-

tela non meglio definita con i Calcagno»

245

: è probabile quindi che il

Ca-

stellacium

fosse stato, per così dire, incidentalmente acquisito insieme

242

Proposta invece come ovvia da Gribaudi Rossi (

ibid.

, pp. 97-98), la quale sulla base di sem-

plici «voci», pensa all’esistenza di un altro castello «di strada» in corrispondenza dell’ultimo trat-

to del «costolone di Serralunga»; ma le «voci» non reggono alla verifica e la stessa autrice deve

concludere che si tratta di «un castello fantasma».

243

Cfr.

a. a. settia

,

Motte e castelli a motta nelle fonti scritte dell’Italia settentrionale. Dati e pro-

blemi

, in

Mélanges d’archéologie et d’histoire médiévales en l’honneur du doyen Michel de Boüard

,

Genève-Paris 1982, p. 381 (al contrario di ciò che tende a credere

barbero

,

Un’oligarchia urbana

cit

.

, pp. 106-203).

244

ASCT, Marm. 1446, c. 47

v

, 94

v

-95

r

; il «castellacium seu mota illorum de Nechis» viene

però di nuovo nominato in quanto tale negli estimi del 1464 (ASCT, Marm. 1464, c. 152

v

).

245

barbero

,

Un’oligarchia urbana

cit

.

, p. 204.