

chi di credendari giunti fino a noi dai decenni centrali del Trecento: se
nel 1346 4 Sili e 2 Zucca sedevano nella credenza, nel 1353 vi ritrovia-
mo soltanto uno Zucca; col successivo elenco del 1365 anche questo re-
siduo di partecipazione è venuto definitivamente meno. Un analogo rias-
sestamento si riscontra nella composizione del capitolo, dove dopo la
metà del secolo i Sili e gli Zucca risultano assenti, mentre i della Rove-
re, i Beccuti, i Borgesio e i da Gorzano vi contano ormai in permanen-
za almeno un rappresentante ciascuno: la composizione del clero catte-
drale rispecchia fedelmente i nuovi equilibri politici che si sono imposti
in città.
Per entrambe le famiglie il declino sociale ed economico avrebbe se-
guito da vicino l’emarginazione politica. Assai rapida fu la decadenza
dei Sili, scacciati quasi tutti dalla città dopo il fallimento della loro ul-
tima sollevazione: se nel catasto del 1349 sono ancora registrati dodici
maschi della famiglia, in quello del 1363 ne restano soltanto quattro, e
uno in quello del 1380; per giunta quest’ultimo aveva cambiato nome e
si faceva chiamare Giacomino Arisio. Non si trattava di una precauzio-
ne inutile, giacché la presenza in città anche soltanto di un Silo, seppu-
re isolato e senza seguaci, poteva provocare da parte delle autorità com-
portamenti che rasentavano il panico. Nel 1382 il notaio Giovannino
de Cantore lasciò per testamento i suoi protocolli a Eustachio «filio Ia-
cobini Aricii notario». Il consiglio di credenza, cui spettava ratificare il
lascito, lo approvò, ma soltanto a maggioranza e dopo un rinvio, ciò che
costituiva una procedura del tutto insolita; lo stesso giorno si presentò
in consiglio messer Tomaino Borgesio, dottore in legge, come procura-
tore del principe d’Acaia, chiedendo formalmente di soprassedere all’as-
segnazione dei protocolli. Quest’ultimo passo si rivelò controproducen-
te, poiché la credenza, temendo di veder compromesse le sue preroga-
tive, troncò gli indugi e concesse all’Arisio di prendere possesso dei
protocolli; resta il fatto che il cognome Silo era un’eredità assai scomo-
da da portare anche nella Torino pacificata dell’ultimo Trecento. Ben
presto, d’altronde, non sarebbe rimasto più nessuno a portarlo: nel 1415,
di tutta la famiglia che un secolo prima aveva dato contemporaneamen-
te dodici credendari al consiglio comunale e quattro canonici al capito-
lo cattedrale non restava che una donna, Beatrisina, la vedova appunto
di Eustachio, il cui patrimonio si riduceva alle stanze in cui abitava e a
una bottega
11
.
Gruppi e rapporti sociali
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11
Il declino dei Sili può essere seguito attraverso i seguenti volumi dei catasti: ASCT, Pust.
1349, ff. 5
r
, 16
v
, 17
r
, 30
rv
; Dor. 1349, f. 2
rv
; Nuova 1363, f. 31
r
; Dor. 1363, f. 55
r
; Dor. 1380,
f. 58
r
; Dor. 1415, f. 84
v
. La vicenda dei protocolli è in ASCT,
Ordinati
, 23, ff. 56-59.