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qualcuno disposto a pagar loro la giornata. Non che un maniscalco o un

bettoliere fossero sempre al sicuro dalla miseria: negli anni terribili di

fine Trecento, Oddone della Cornaglia, figlio di Michele taverniere, e

nipote di quell’Oddone della Cornaglia che prima della peste del 1348

era stato addirittura membro del consiglio di credenza, è cassato dal re-

gistro catastale, perché «mendicator est et bona sua disperssit»

16

. Assai

più rilevante è però la presenza in città di un proletariato industriale,

composto appunto di tessitori e filatrici, di cui è difficile accertare il pe-

so quantitativo, ma che senza dubbio comprendeva molti dei cittadini

più poveri iscritti a catasto. La frequente menzione di questi lavoratori

nelle fonti trecentesche conferma l’importanza che la produzione tessi-

le, pur non raggiungendo mai né in quantità né in qualità il livello di

Chieri o Pinerolo, rivestiva tuttavia nella vita della città.

Che si trattasse di una manodopera prevalentemente femminile, è

dimostrato dalla frequenza con cui disposizioni statutarie e interventi

legislativi, ma anche documenti privati, menzionano le lavoratrici, an-

ziché genericamente i lavoratori, dell’industria tessile; un dato tanto più

impressionante in quanto a quest’epoca le donne, escluse di fatto dalla

vita economica, rappresentavano di solito una componente assai poco

visibile della società. Così, gli statuti precisano che il giudice era tenu-

to a nominare ogni anno due mercanti, in rappresentanza di tutti gli im-

prenditori che avevano investito il loro denaro nell’industria tessile, col

compito di visitare almeno una volta al mese le case di tutti coloro che

partecipavano alla lavorazione «et eciam per domos mulierum que fila-

verint tramam», verificando la correttezza della procedura seguita. Lo

stesso accadeva nell’industria del cotone e del lino, sicché ad esempio il

notaio Giuliano di Cavaglià, che dichiara nel 1402 l’intenzione di im-

pegnarsi nella produzione di fustagni, quando parla dei suoi lavoranti li

chiama dapprima «persone qui filabunt cotonum», ma poi senz’altro «fi-

latrices ad filandum cotonum». Pochi anni prima il consiglio di creden-

za, intervenendo per fissare il salario dei tessitori, si era impegnato ad

ascoltare l’opinione dei «testoribus et testricibus», con una formula-

zione che ancora una volta testimonia l’importanza decisiva assunta dal-

la manodopera femminile

17

.

Quel provvedimento, preso nel 1393, riguardava l’industria della

tela, le cui maestranze si dimostravano particolarmente agguerrite. In

quell’occasione, i lavoranti del lino si rivolsero al consiglio di credenza

Gruppi e rapporti sociali

173

16

Cfr. ASCT, Dor. 1349, f. 33

v

; Dor. 1363, f. 19

v

; Dor. 1369, f. 11

r

; Dor. 1391, f. 39

r

, e

Coll. V, n. 1133.

17

BSSS, 138/1, pp. 143 sg.; ASCT,

Ordinati

, 34, f. 60

r

; 43, f. 103

r

.