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Parte prima Declino economico ed equilibrio istituzionale (1280-1418)

affinché stabilisse l’entità del compenso dovuto dai mercanti che da-

vano loro lavoro, e il consiglio nominò una commissione incaricata di

incontrarsi con tessitori e tessitrici per prendere accordi in proposito.

Più tardi, nel 1415, il principe d’Acaia promulgò un nuovo regolamento

sulla fabbricazione della tela, e anche allora, di fronte alle proteste dei

tessitori torinesi, il consiglio comunale si rivolse al principe supplican-

dolo di abolire ogni novità, «ut per testores fiant telle more solito»

18

.

Ma anche negli altri settori dell’industria tessile i lavoranti erano in

grado di assumere iniziative collettive, e di condizionare in qualche mo-

do le scelte dei padroni; i quali, sia pure con rincrescimento, non po-

tevano fare a meno di trattar bene la manodopera, dacché la città ave-

va visto ridursi drammaticamente il numero dei suoi abitanti. Nel 1395

i drappieri Antonio Cornaglia e Francesco de Angeletis, a nome di tut-

ti gli imprenditori «qui faciunt artem draperie in Taurino», informa-

rono il consiglio che i tessitori rifiutavano di lavorare per i mercanti to-

rinesi e prendevano lavoro soltanto da quelli di Moncalieri, sostenen-

do che questi ultimi li pagavano meglio. Secondo i due padroni, nel cui

linguaggio s’intravede un paternalismo sprezzante che non sarebbe suo-

nato fuori posto qualche secolo più tardi, i lavoratori in realtà avevano

soltanto l’illusione di essere pagati di più, perché il peso usato dai la-

naioli di Moncalieri era maggiore di quello di Torino, sicché a maggio-

re lavoro corrispondeva ovviamente una paga più alta; ma poiché era

impossibile far loro intendere ragione, non restava che adeguarsi, e au-

mentare il peso di Torino fino a portarlo in pari con quello della città

rivale

19

.

Bisognerà aggiungere che ben difficilmente, per questi lavoranti, la

tessitura della lana, del cotone e del lino rappresentava una risorsa esclu-

siva; essi infatti erano reclutati in prevalenza fra quei contadini che non

avevano abbastanza terra per mantenersi, e ancor più fra le loro donne.

Proprio la moltitudine di piccoli proprietari e braccianti che abitavano

entro le mura, e ne uscivano ogni giorno per andare a lavorare nei cam-

pi, offriva un bacino di manodopera comodamente a disposizione di ogni

imprenditore deciso a tentare investimenti nell’arte della lana, della te-

la o del fustagno. Senza voler porre sullo stesso piano due realtà produt-

tive dal potenziale incomparabilmente diverso, mi pare che possa valere

anche per Torino, come forse per tutte le città piemontesi di questa età,

il paradosso segnalato da Luciano Allegra per la Chieri del Cinquecento:

18

ASCT,

Ordinati

, 34, f. 60

r

; 55, ff. 137-38.

19

ASCT,

Ordinati

, 36, f. 50

v

.