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quista lana e cotone all’ingrosso, distribuendo lavoro a domicilio a una

moltitudine di operai, per poi smerciare all’ingrosso o in dettaglio pan-

ni e fustagni. A un livello economico più modesto, i beccai operanti in

città non sono mai meno di una quindicina; ancor più numerosi i notai,

oltre che ben rappresentati nel ceto politico cittadino, al punto che sui

60 membri del consiglio di credenza più di un terzo, di solito, esercita-

no la professione notarile; non meno di una decina gli albergatori, e for-

se tre volte più numerosi i proprietari di bettole. Se si aggiunge qualche

medico, qualche barbiere e chirurgo, e un numero impossibile da quan-

tificare di olieri, formaggiai e altri rivenditori al dettaglio di generi ali-

mentari, alcuni dei quali, a volte, raggiungevano una certa prosperità e

avevano accesso al consiglio di credenza, avremo di fronte il quadro di

un ceto popolare che verso la metà del Trecento, investendo il suo de-

naro in terra oltre che negli appalti, era in grado di minacciare l’egemo-

nia economica della nobiltà

13

.

Il catasto del 1363, il primo che sia pervenuto fino a noi nella sua

completezza, dimostra che a quella data i ceti produttivi erano giunti a

esercitare anche nell’attività agricola un peso pari a quello dei nobili.

Ho scomposto i dati offerti dal catasto considerando in primo luogo i

contribuenti che appartenevano a famiglie nobili, la maggioranza dei

quali, conviene sottolinearlo, non risultano impegnati in alcuna attività

commerciale; in secondo luogo, quei contribuenti che esercitavano pro-

fessioni e commerci, e che senza essere nobili avevano accesso, perso-

nalmente o tramite i loro parenti, al consiglio comunale; in terzo luogo

tutti gli altri. Se ne ricava che 65 capifamiglia nobili detenevano com-

plessivamente 4052 giornate nel territorio torinese; altri 69 capifami-

glia, in rappresentanza delle 40 famiglie di popolo più influenti in quel

momento sul piano politico ed economico, ne controllavano esattamen-

te 4000, mentre gli altri contribuenti registrati, 583 in tutto, se ne di-

videvano all’incirca altre 4000. Il catasto presenta dunque lo spaccato

di una società cittadina dominata economicamente da due

élites

, quella

nobiliare e quella popolare, ciascuna delle quali comprende un decimo

della popolazione complessiva e controlla circa un terzo della terra; una

società dove ogni capofamiglia appartenente alla nobiltà o allo strato su-

periore del popolo può contare in media su circa 60 giornate, mentre la

maggioranza dei contribuenti deve accontentarsi di 6 o 7 giornate.

Non è certamente un caso, alla luce di questi dati, se gli statuti del

1360, redatti sulla base delle franchigie concesse da Amedeo VI, impo-

Gruppi e rapporti sociali

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13

Per un quadro più ampio delle attività commerciali e professionali praticate a Torino cfr.

barbero

,

Un’oligarchia urbana

, cit., pp. 133-253.