

per cui una città con forti caratteristiche rurali, paragonabile per certi
versi a un’«agro-town» meridionale, si rivela intrinsecamente adatta al-
lo sviluppo di un’industria tessile fondata sulla distribuzione del lavoro
a domicilio fra i lavoranti
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.
Accanto al proletariato industriale, il popolo minuto della città tre-
centesca comprendeva innanzitutto lavoratori domestici; sui quali pur-
troppo sappiamo ben poco, benché rappresentassero senza dubbio un
gruppo assai numeroso. Quando gli statuti torinesi cercano di definire
l’autorità del capofamiglia, elencando le persone ch’egli ha il diritto di
bastonare per correggerle, precisano che accanto alla moglie, ai figli, al-
le nuore, la famiglia comprende anche «bubulci et scutifferi, canevarii,
pedissequa, baiula et alii mercenarii»
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. E infatti i conti dei clavari, con
i loro lunghi elenchi di persone multate per ogni sorta di trasgressioni,
ci permettono di stabilire che i notabili torinesi, fossero nobili o popo-
lari, tenevano quasi sempre al proprio servizio, come minimo, un servi-
tore o «famulus», una serva o «pedisseca», un bovaro o «bubulcus», cui
si aggiungevano, se del caso, uno o più inservienti di bottega e una nu-
trice per i figli piccoli; mentre non c’è traccia, occorre aggiungerlo, di
quegli schiavi e soprattutto schiave che nelle grandi città italiane s’in-
contravano in casa di tutti i cittadini agiati.
Questi uomini e donne che i notai designano quasi sempre col solo
nome di battesimo vivevano in casa del padrone e ne condividevano nel
bene e nel male le vicende domestiche; raramente erano sposati, anche
se le donne, a volte, continuavano a far la serva anche dopo aver trova-
to marito; mai, o quasi mai, possiamo sperare di trovarli iscritti a cata-
sto. Non è difficile, tuttavia, calcolare che il loro numero doveva esse-
re assai elevato. Si è visto infatti che nel 1363, su 717 contribuenti iscrit-
ti a catasto, i notabili sono ben 134, comprendendo accanto ai nobili
tutti quei drappieri, lanaioli, speziali, osti, notai e bottegai che aveva-
no in qualche modo accesso al consiglio comunale e alle magistrature cit-
tadine; ora in queste 134 case agiate doveva trovarsi come minimo un
mezzo migliaio di servitori. È un dato che aumenta in modo significati-
vo, rispetto alle cifre offerte dai catasti, la stima delle persone adulte re-
sidenti stabilmente in città, e che ci fa rimpiangere ancor più l’assenza
o la perdita, a Torino, di qualsiasi fonte statistica relativa alla composi-
zione dei nuclei familiari, al numero e alla qualità delle bocche che ogni
capofamiglia doveva nutrire.
Gruppi e rapporti sociali
175
20
l. allegra
,
La città verticale. Usurai, mercanti e tessitori nella Chieri del Cinquecento
, Milano
1987, pp. 116-19.
21
BSSS, 138/1, p. 100.