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lidarietà, a dire il vero soprattutto maschile, fra padrone e servitore. Co-

sì, il possidente Stefano Ainardi pagò la multa per un suo vaccaro, ac-

cusato di aver bestemmiato Dio e la Vergine Maria; in un’altra occasio-

ne, il notaio Antonio Malcavalerio liberò con la forza un suo bovaro

mentre veniva condotto in carcere dagli sbirri. Questo genere di soli-

darietà, manifestata soprattutto nei confronti delle autorità, si spiega

probabilmente col fatto che in una società rissosa e violenta i domesti-

ci erano, spesso, anche i manutengoli del padrone, che doveva poter con-

tare su di loro in caso di bisogno; e ne condividevano rivalità e punti

d’onore, pagandone a volte le conseguenze, come nel caso di quel fami-

glio di Giorgio Borgesio che il cugino di quest’ultimo, Antonietto Bor-

gesio signore di Bruino, fece bastonare dai suoi servi in spregio al pa-

drone.

Questa ricognizione sulla condizione della povera gente nella Tori-

no trecentesca non può concludersi senza porre una questione che solo

raramente la storiografia è in grado di affrontare, ma che appare vitale

per la comprensione di qualsiasi società: quali possibilità di ascesa so-

ciale si aprivano per i figli del popolo? Gli uomini nuovi non mancano

di certo, neppure in quell’età di crisi economica e contrazione demo-

grafica, fra i mercanti e gli speculatori che appaltavano le gabelle citta-

dine e sedevano in consiglio comunale; ma si tratta nella maggior parte

dei casi di uomini giunti da fuori città, e non privi di mezzi né di ade-

renze. In qualche rara occasione, tuttavia, si assiste al caso di persone

nate nei ceti più infimi e giunte a godere di una modesta agiatezza, e ad-

dirittura a sedere in consiglio comunale; sicché, a rigore, l’ascesa socia-

le risulta bensì improbabile, ma non impossibile. Una delle strade per

far fortuna era rappresentata dal notariato, esercitato per lo più da no-

tabili che si trasmettevano i protocolli di padre in figlio o di zio in ni-

pote, ma a cui tuttavia, per la modestia delle qualifiche richieste, anche

il figlio di un pover’uomo poteva talvolta, eccezionalmente, accedere.

In particolare, l’accesso all’ufficio di notaio della curia cittadina, mo-

nopolizzato di regola dai membri del consiglio comunale e dai loro pa-

renti, rappresentò a volte lo strumento per l’ascesa sociale di uno sco-

nosciuto, come nel caso di Michele, figlio di Caritone fornaio, che eb-

be l’incarico per la prima volta nel 1384 e poi di nuovo molte volte negli

anni successivi; o ancor più in quello di Giovanni, figlio di Botero pe-

scatore, che incontriamo come notaio della curia per la prima volta nel

1392 e poi più volte in seguito, e che molto più tardi, nel 1427, subito

prima di morire, sarà addirittura cooptato in consiglio comunale.

L’accesso di notai senza mezzi e senza famiglia a una carica appalta-

ta, di solito, a caro prezzo si spiega col fatto che non sempre l’esecuto-

Gruppi e rapporti sociali

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