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Parte prima Declino economico ed equilibrio istituzionale (1280-1418)

La completa inesistenza di associazioni professionali non può dun-

que essere spiegata semplicemente con l’assenza o l’insufficiente svi-

luppo dei traffici. Diremo piuttosto che le autorità cittadine preferiro-

no intervenire diversamente nel campo commerciale e produttivo, re-

golamentando in modo assai minuzioso la produzione tessile, oppure la

macellazione del bestiame, o ancora l’acquisto di provviste da parte de-

gli osti, tutti problemi cui gli statuti dedicano un’attenzione straordi-

naria; ma senza irrigidire ciascuna di queste attività con un’impalcatu-

ra corporativa. Può darsi che questo vuoto possa essere spiegato con con-

siderazioni politiche, giacché la città non era libera, ma soggetta a un

principe che non nascondeva la sua diffidenza verso ogni tipo di asso-

ciazionismo fra i sudditi: non per nulla gli statuti vietano ai cittadini la

costituzione di qualsivoglia associazione, escluse beninteso le società sti-

pulate «ratione mercandie seu negotiationis»

30

.

Ma l’assenza di corporazioni si spiega altresì con una caratteristica

strutturale dell’economia cittadina, che nel confronto con altre città può

certamente esser considerata arretrata, per la debolezza del mercato in-

terno e lo scarso rilievo complessivo dei capitali investiti; ma che pro-

prio per questo è caratterizzata da un’imprenditoria poliedrica. Sono

poche decine, a Torino, coloro che dispongono di ricchezze sufficienti

per impegnarsi nei traffici; troppo pochi per potersi limitare ciascuno a

un singolo settore commerciale o produttivo. Perciò a Torino, come sen-

za dubbio anche altrove, ma forse in modo più accentuato, il commer-

cio non è un’attività specializzata: chi ha denaro da far fruttare può,

all’occasione, investirlo in qualsiasi partita di merce. Nel 1407 vennero

multati per aver importato vino in città frodando la gabella Giovanni

Perrachinoto, Vietto Ranotti e Antonio Pittodo: il primo era un fab-

bricante di lino, il secondo un macellaio, il terzo un mercante di drap-

pi. Pochi anni dopo, nel 1410, il consiglio comunale mandò ambascia-

tori ai signori di Collegno, per denunciare il furto compiuto da certi uo-

mini del luogo ai danni di un carico di panni incamminati verso Torino;

la merce trafugata risultava appartenere in parte al principe d’Acaia, in

parte a un suo scudiero, in parte a Filippo Alardi suo cuoco, in parte a

un Giacomo Palocca di Moncalieri e a suo genero Michele Belliodi, det-

to Marzandino, che sarebbe divenuto molto più tardi uno dei più ricchi

mercanti di Torino; e solo in parte al drappiere Antonio Cornaglia, l’uni-

co fra tutti a possedere una bottega di panni regolarmente avviata sulla

piazza torinese

31

.

30

Ibid.

, p. 108.

31

Cfr. rispettivamente CCT, rot. 57, e ASCT,

Ordinati

, 51, ff. 95

v

, 96

v

.