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capofamiglia appartenente all’oligarchia popolare su circa 46, mentre al-

la maggioranza dei contribuenti ne spettano in media 10 ciascuno.

Le difficoltà economiche del secondo Trecento colpirono dunque in

maggior misura le famiglie che impegnavano i propri capitali nei traffi-

ci e negli appalti, rallentando il processo di acquisizione della terra da

parte di mercanti e speculatori, e anzi costringendoli a vendere assai più

frequentemente di quanto non accadesse ai nobili. Sul piano politico,

questa congiuntura sfavorevole non si tradusse peraltro in un declino

nell’influenza delle maggiori famiglie di popolo, bensì in una reazione

di difesa che le indusse ad aggrapparsi agli uffici e alle magistrature cit-

tadine, recuperando quel credito che avevano in qualche misura perdu-

to, e trasformandosi sempre più accentuatamente in un’oligarchia eredi-

taria. Il regime di spartizione degli uffici fra nobili e popolari, sancito da-

gli statuti del 1360, non rappresentò così la premessa per una successiva

emarginazione delle forze nobiliari e per una piena affermazione popo-

lare, ma si rivelò invece il punto d’arrivo di un processo di allargamen-

to della democrazia cittadina, che a partire da allora cominciò lenta-

mente a defluire. All’inizio del Quattrocento, le famiglie popolari che

condividevano con i nobili il governo della città non erano più rappre-

sentative di una comunità economicamente vitale, e largamente aperta

agli uomini nuovi, ma costituivano a loro volta un gruppo oligarchico,

avvezzo a trasmettersi di padre in figlio i seggi in consiglio comunale al-

lo stesso modo delle botteghe o dei protocolli notarili, e sempre meno

agitato da quelle passioni antinobiliari che nel corso del Trecento ave-

vano ancora conosciuto violente fiammate.

La pove r a gent e .

A giudicare dai catasti, il popolo minuto della Torino trecentesca par-

rebbe costituito in grande maggioranza da piccolissimi proprietari: so-

no infatti ben rari i contribuenti che non denunciano altri beni immo-

bili oltre alla casa in cui abitano, e poiché anche chi prendeva una casa

in affitto, come facevano soprattutto i poveri e gli immigrati recenti, era

obbligato a denunciarla a catasto, è probabile che pochissimi abitanti

riuscissero a sfuggire alle maglie del fisco. Senza dubbio molti di questi

proprietari erano di fatto dei rustici, e non avevano altro orizzonte se

non quella terra che spingeva la sua presenza, con vigne, orti, stalle, de-

positi di fieno e letame, fin dentro le mura della città: solo nel 1464 una

bolla papale, impetrata dal duca Ludovico, inviterà gli enti ecclesiastici

torinesi a incoraggiare l’insediamento sui loro possessi suburbani delle

«habitationes rusticorum et stabula iumentorum» che si trovavano all’in-

Gruppi e rapporti sociali

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