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residenti nella città ma non soggetti alla sua giurisdizione, e percepiti

proprio per questo come una minaccia per la pacifica convivenza dei

cives

all’interno delle mura cittadine. Il metodo suggerito «pro refre-

nanda clericorum malitia et culpa» era assai pragmatico, nello stile del-

la Società, e sdegnoso di sottigliezze giuridiche: osservando che la pre-

senza dei chierici era una costante fonte di lagnanze, «quod experien-

tia docuit, quod in hac civitate Taurini multa mala prosilierunt ex culpis

et excessibus clericorum», e ben sapendo che la loro tracotanza era in-

coraggiata dalla certezza dell’impunità, gli statuti stabilivano la so-

spensione unilaterale dei privilegi ecclesiastici, disponendo che i chie-

rici colpevoli di offese, percosse, ferite o uccisioni dovessero incorre-

re nella medesima vendetta «quam incurreret laycus non existens de

Societate», compresa l’adunata dei soci sotto la casa dell’offensore e

la sua demolizione a colpi di piccone. Gli statuti precisavano bensì,

non senza ottimismo, che il principe avrebbe dovuto convincere la

Chiesa torinese ad avallare tali misure, procurando lettere di confer-

ma col sigillo episcopale; ma tutto lascia pensare che lo scrupolo lega-

litario fosse puramente formale, e che non si sarebbe certo atteso il

consenso del vescovo per mettere in vigore, in caso di necessità, le mi-

sure previste

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.

La larghissima autonomia di cui la Società disponeva, sia pure sotto

il controllo del vicario e del giudice, per mantenere l’ordine, con i me-

todi più sbrigativi, nella città e nel suo territorio sembra insomma con-

figurare per l’organizzazione il ruolo di un vero e proprio braccio arma-

to della comunità, dalle funzioni insostituibili anche in una città come

la Torino del secondo Trecento, in cui il tasso di violenza all’interno del-

le mura si era forse attenuato rispetto alla turbolenza dei primi decenni

del Trecento; non per nulla Ludovico d’Acaia, confermando per l’ulti-

ma volta, nel 1417, gli statuti della Società, dichiarò di aver voluto in-

coraggiare quei cittadini che non solo con la buona volontà, ma coi fat-

ti si proponevano di difendere la pace nei suoi domini e in particolare a

Torino, assicurando coi loro sforzi il «tranquillum statum totius comu-

nitatis eiusdem loci». Al tempo stesso non si può escludere che proprio

per la sua capacità di organizzare militarmente i cittadini in caso di ne-

cessità, tramite una procedura su cui i rappresentanti del principe eser-

citavano un controllo puramente formale, l’associazione abbia suscita-

Gruppi e rapporti sociali

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BSSS, 138/2, p. 40. Il ricordo della congiura del 1334, promossa dal prevosto del capitolo

Giovanni Zucca e in cui diversi canonici avevano avuto un ruolo di primo piano, non fu probabil-

mente estraneo all’introduzione di queste norme, che tuttavia assumono nel quotidiano contesto

della vita cittadina un carattere ben più generale.