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Nel corso del Trecento si ha peraltro l’impressione che queste faide

familiari e questi litigi fraterni si concludessero sempre più raramente

con dei morti, come invece accadeva non di rado nei primi decenni del-

la dominazione sabauda. Il caso del notaio Tomaino Beamondi, che nel

1394 non poteva andare a Pinerolo «eo quia non audet ire per patriam

nec ire potest sine periculo sue persone, propter inimicicias mortales

quas habet cum illis qui interfecerunt patrem suum»

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, è a quella data

più unico che raro; il venir meno delle ambizioni politiche che innerva-

vano, in passato, la rivalità delle fazioni, in una città sempre più fer-

mamente controllata dall’autorità sabauda, comportava anche un ab-

bassamento della soglia della violenza. Le risse erano quotidiane, ma po-

chi, si direbbe, si facevano male sul serio, nonostante la facilità con cui

si sguainava la spada: sicché sono rari i casi come quello del notaio Ber-

tino Allamano, costretto a comporre nel 1366 in 25 fiorini per l’omici-

dio di un mastro Giovanni fisico, e ben più diffusi gli episodi come quel-

lo del notaio Bertolino Malcavalerio e del macellaio soprannominato il

Re Erode, che un giorno, dopo essersi insultati, sguainarono le spade e

si scambiarono parecchi colpi «absque tamen percuxione aliqua».

È vero che il numero dei morti ammazzati non può essere calcolato

facilmente, giacché i conti dei clavari riportano soltanto quei casi in cui

all’omicida era comminata una sanzione pecuniaria; mentre dei con-

dannati a morte non si dice quasi mai se fossero assassini, ladri recidivi

o colpevoli di tradimento. Per dare un’idea della frequenza degli omici-

di, diremo comunque che sull’arco di quattordici anni, dal 1384 al 1398,

sono registrati dal clavario nove casi certi di assassinio, per i quali un

totale di quindici delinquenti vennero condannati a pene in denaro; nel-

lo stesso arco di tempo, altri otto delinquenti vennero impiccati, quat-

tro decapitati, due subirono l’amputazione della mano e altri due del

piede destro, e di tutti costoro è probabile che almeno qualcuno fosse

colpevole di assassinio. Si può dunque calcolare che in città, o nelle im-

mediate vicinanze, si verificasse in media un omicidio all’anno; non po-

co, certamente, considerando che Torino non aveva più di quattro o cin-

quemila abitanti, ma meno di quel che si potrebbe credere, consideran-

do la litigiosità dei Torinesi, e l’abitudine universale di non uscir di casa

senza il coltello.

La tipologia degli omicidi d’altronde, per quel poco che si può rico-

struire, non pare consonante con quella delle violenze di strada. Qual-

che volta, s’intende, l’origine di un assassinio va ricercata in un radica-

Gruppi e rapporti sociali

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ASCT,

Ordinati

, 35, f. 8

r

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