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198

Parte prima Declino economico ed equilibrio istituzionale (1280-1418)

capitulo non obstante», ciò che implicava necessariamente la condanna

a morte; ma subito aggiungono che ciò avrà luogo solo se l’omicida sarà

catturato, altrimenti sarà condannato al bando fino a quando non si sarà

messo d’accordo col principe e con gli eredi dell’ucciso. I suoi beni sa-

ranno sequestrati, ma solo un terzo dei beni mobili verrà effettivamen-

te confiscato a profitto del principe; tutto il resto, compreso l’intero pa-

trimonio immobiliare, sarà trasmesso senz’altro agli aventi diritto, cioè

agli eredi del condannato. L’apparente severità della norma non deve

dunque nascondere il fatto che l’omicidio è il solo delitto per cui, fatta

salva la confisca di un terzo dei beni mobili, che equivale a una grossa

multa, il colpevole possa scampare concordando un risarcimento in de-

naro con la giustizia e, soprattutto, con la famiglia della vittima; quasi

a suggerire che in una questione così privata come l’odio mortale fra due

famiglie, la giustizia può bensì inserirsi, ma soltanto come terzo.

Tutto questo, s’intende, nel caso in cui l’omicida e la vittima siano

entrambi Torinesi, ciò che come si è visto accadeva piuttosto raramen-

te. Nel caso in cui un forestiero avesse ucciso un cittadino, il giudizio

degli statuti era assai più rigido, e non ammetteva vie di scampo: «mo-

riatur»; se invece un Torinese avesse ucciso un forestiero, bastava che

pagasse 5 lire di multa, e addirittura soltanto 3 lire se il disgraziato non

era neppure suddito sabaudo. Non contenti di ciò, gli statuti aggiungo-

no che se per caso nel paese della vittima l’uccisione di un forestiero da

parte di un locale è punita ancor meno severamente che a Torino, l’as-

sassino avrà diritto a una corrispondente riduzione di pena! Anche que-

ste norme confermano che l’omicidio non è giudicato una questione di

ordine pubblico, punibile di per sé, ma essenzialmente una questione

personale, in cui le autorità sono chiamate a intervenire per prendere,

sempre e comunque, le parti dei cittadini contro gli estranei; tant’è ve-

ro che quando sia il colpevole sia la vittima risultano forestieri, gli sta-

tuti perdono qualsiasi interesse per la faccenda, e addirittura non fissa-

no alcuna pena, limitandosi a stabilire che il colpevole «solvat bannum

in arbitrio iudicis» (

ccix

,

ccx

,

ccxxviii

).

Il tratto distintivo di questa giustizia, in conclusione, non è tanto la

severità, o addirittura la ferocia, delle pene, quanto piuttosto l’arbitra-

rietà. Non si tratta, si badi bene, di un limite, ma di una caratteristica

essenziale del sistema. Le pene debbono essere arbitrarie, a discrezione

del giudice; perché il ricco, se offende un povero, deve venir punito me-

no severamente del povero che offende un ricco; perché il cittadino

dev’essere protetto a tutti i costi contro il forestiero, anche dalle con-

seguenze della sua stessa imprudenza, come nel caso in cui si lasci pren-

dere la mano dall’ira e lo ammazzi, mentre la protezione dei forestieri