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Parte prima Declino economico ed equilibrio istituzionale (1280-1418)
to dissapore familiare, o più direttamente in motivazioni d’ordine eco-
nomico, come nel caso di quel tale che commissionò l’omicidio di un cre-
ditore; ma si tratta di casi isolati. Gli omicidi più frequenti erano a sco-
po di rapina, e avvenivano fuori le mura, ai danni di mercanti o mulat-
tieri sorpresi, magari, fra le nebbie della Vanchiglia; tanto i colpevoli
quanto le vittime erano spesso, e fors’anche in prevalenza, forestieri,
ciò che fra l’altro innescava, come vedremo fra poco, un meccanismo
punitivo del tutto diverso da quello che interveniva in caso di coinvol-
gimento d’un cittadino. Gli omicidi insomma, al contrario delle ingiu-
rie, delle risse e dei ferimenti, non sembrano avere una parte quotidia-
na, o addirittura strutturale, nella vita della città.
Quale l’atteggiamento delle autorità nei confronti della violenza dif-
fusa? Nel complesso, l’azione della giustizia non appare riconducibile a
una sistematica volontà repressiva; anzi si può dire che con talune ec-
cezioni i delitti contro la persona, a partire dall’ingiuria per arrivare fi-
no all’omicidio, erano repressi meno severamente dei delitti contro la
proprietà. Nella normativa statutaria, la violenza fisica era addirittura
considerata come un fenomeno in qualche misura privato, e comunque
di per sé non sempre grave: l’intervento delle autorità era giudicato in-
dispensabile, e comunque assumeva carattere più decisamente punitivo,
solo quando la violenza infrangeva, scandalosamente, le differenze di
rango; quando occorreva assicurare ai cittadini una condizione di privi-
legio, dentro la loro città, rispetto ai forestieri; infine, quando la crimi-
nalità assumeva connotazioni tali da mettere in dubbio, in via concreta
o anche soltanto simbolica, l’autorità del principe e dei suoi ufficiali. A
sua volta la prassi del tribunale, se non esitava ad aggravare in più di un
caso le pene previste dagli statuti, e ad ampliare il raggio d’azione della
giustizia rispetto al dettato legislativo, era tuttavia caratterizzata da un
ampio spazio di contrattazione e di mediazione, politica o clientelare,
fra giudice ed accusato, che finiva in larga misura per attenuarne l’in-
transigenza.
Così, ad esempio, l’ingiuria non è neppure considerata come un rea-
to negli statuti, tranne nel caso in cui venga pronunciata davanti al giu-
dice o al vicario, nel qual caso è prevista una multa fino a 10 soldi, o in
quello, ben più grave, in cui sia rivolta direttamente a costoro; allora la
multa sale a ben 10 lire (capitoli
ccxxii
e
ccxlv
). Nella realtà, invece,
l’ingiuria è comunemente punita, con multe che vanno di solito da cin-
que a 15 soldi, e in qualche caso anche più; a conferma di come, alme-
no in quest’ambito, la prassi del tribunale alla fine del Trecento sia ca-
ratterizzata da maggior severità, e se vogliamo da un più ampio intento
repressivo, rispetto all’epoca della compilazione degli statuti. Ma il da-