

Così pure, non c’è dubbio che l’insicurezza delle strade abbia ridot-
to i profitti dei pedaggi, che per molti notabili costituivano una fonte
di reddito tutt’altro che trascurabile, e delle gabelle, che rappresenta-
vano la più importante entrata del comune; le autorità cittadine si sfor-
zavano bensì di legiferare in quest’ambito, ordinando che qualunque
viaggiatore o convoglio di merci in transito lungo la strada di Francia
dovesse obbligatoriamente far tappa in città, seguendo un percorso con-
trollato, così da non poter sfuggire al prelievo, ma l’incapacità di far ri-
spettare queste norme a più di qualche chilometro dalle mura cittadine
doveva vanificarle in gran parte. Possiamo dunque concludere che per
una città come Torino, la cui prosperità dipendeva in larga misura dal-
le strade, l’impossibilità di esercitare su quelle strade un qualsiasi con-
trollo, proprio nel momento in cui la congiuntura politica le rendeva par-
ticolarmente insicure, non mancò di contribuire alle difficoltà sempre
più gravi che si manifestarono nel corso del Trecento.
I pont i .
La manutenzione dei ponti sul Po e sulla Dora rappresentava per il
comune un impegno assai gravoso. I ponti, costruiti in legno, erano vi-
tali per la città, situata alla confluenza dei due fiumi; ma erano anche,
a quanto pare, manufatti alquanto precari, soggetti a crollare facilmen-
te in caso di piena. All’inizio del Trecento i ponti erano di competenza
del principe d’Acaia, secondo la consuetudine vigente in tutti i domini
sabaudi, che considerava vie di comunicazione e corsi d’acqua come
re-
galia
, pertinenze del potere supremo. Il principe affidava il governo dei
ponti a un appaltatore, che s’incaricava della manutenzione ordinaria,
e intascava in cambio, con ogni probabilità, il pedaggio sborsato dai viag-
giatori. L’incarico venne tenuto per molti anni da Bertolino Tintori, do-
cumentato col titolo di governatore dei ponti almeno dal 1314 al 1342;
i conti dei clavari registrano che pagava 25 fiorini all’anno «de ficto pro
ponte Padi cum omnibus suis pertinenciis», insieme ai figli di Pietro Ca-
pra
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. Ma nel generale riassestamento istituzionale verificatosi intorno
al 1360, quando il principe d’Acaia venne spossessato dei suoi domini
dal cugino Amedeo VI, per riaverli poi sotto precise condizioni, mentre
la comunità torinese riceveva nuove franchigie e si affrettava a tradur-
le nella redazione definitiva degli Statuti, il controllo dei ponti fu tra-
sferito alla città.
La classe dirigente e i problemi di una città in difficoltà
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ASCT, Carte Sciolte, nn. 1838-43; per la tariffa dell’appalto CCT, rot. 10.