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ge o loro eredi, nove a dottori in medicina e venticinque a causidici; sen-

za contare ventiquattro fra segretari, procuratori e commissari ducali.

Ma se la trasformazione di Torino in una città in grado di assumere

davvero un ruolo egemonico nella regione subalpina è da considerarsi

un effetto, e non una causa, della centralità politica ad essa attribuita

dal governo ducale, dove vanno ricercate tali cause? Il motivo per cui

una città come Torino, ricca e popolosa secondo i criteri piemontesi, ma

meno di altre città egualmente soggette alla dinastia sabauda, fu scelta

come centro politico e amministrativo delle province cismontane può

essere compreso – al di là delle ragioni puramente geografiche, che pu-

re ebbero il loro peso e su cui ritorneremo – soltanto valutando la sua

posizione nel contesto del complesso sistema di relazioni che univa le

comunità piemontesi al potere centrale. I possedimenti sabaudi di qua

dai monti non costituivano, com’è noto, un’entità politica organica, seb-

bene la coscienza di un comune interesse piemontese, contrapposto a

quello della parte savoiarda, si sia gradualmente fatta strada proprio nel

corso del nostro periodo. Essi erano costituiti da un mosaico di comu-

nità la cui sottomissione ai Savoia si era compiuta in tempi diversi e a

diverse condizioni; una diversità che continuava a incidere profonda-

mente sul loro rapporto con la dinastia. Anche senza considerare quel-

le comunità – la maggioranza, anche se quasi esclusivamente rurali – che

dipendevano solo indirettamente dal duca, soggette com’erano a propri

signori, e prendendo in considerazione soltanto le comunità urbane che

godevano di un rapporto immediato col potere centrale, la variabilità

dei rapporti e dei privilegi costituisce la norma; a cominciare dalla data

più o meno vicina, nel tempo e nella memoria, in cui ogni città aveva

perduto la propria indipendenza.

La definitiva dedizione di Torino ai Savoia risale al 1280; a quella

data, la dinastia controllava già Pinerolo e Moncalieri, per non parlare

di centri minori come Susa, Rivoli, Avigliana. Seguirono Ivrea nel 1313,

Fossano nel 1314, Savigliano nel 1320, Chieri nel 1347, Cuneo nel 1382,

Mondovì nel 1396, Vercelli soltanto nel 1427. Queste dedizioni suc-

cessive determinarono sul territorio piemontese durature ripartizioni,

la cui influenza è ancora pienamente avvertita per tutto il nostro perio-

do, come dimostrano i conti dei sussidi, la cui articolazione riflette in-

variabilmente la visione che l’amministrazione ducale aveva del territo-

rio soggetto. Il primo posto spettava ai domini già appartenuti agli Acaia,

la «terra principatus»; al loro interno quattro comunità prevalevano in-

discutibilmente sulle altre, ed erano Torino, Pinerolo, Savigliano e Mon-

calieri, mentre assai minore era il ruolo di centri come Fossano, Cari-

gnano e Vigone. Al secondo posto in ordine di importanza, sebbene aves-

Torino e le comunità del Piemonte nel nuovo assetto del ducato sabaudo

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