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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)
lo Studio, dato che esso era stato concesso «solum pro Studio taurinensi
et non pro Studio Cherii», e sottolineava il fallimento a suo giudizio
completo dell’esperimento torinese, «cum autem Studium huiusmodi in
presentiarum in dicta civitate Taurini non existat secundum intencio-
nem doctorum, ut dicebatur, venturorum et lecturorum, nec speretur
venire».
Sembra tuttavia che il duca non vedesse con favore il trasferimento,
probabilmente per le stesse ragioni per cui Chieri non ebbe mai alcuna
possibilità di essere scelta come sede dei principali organi amministra-
tivi di qua dai monti; sicché ben presto, con un editto del 29 settembre
1424, Amedeo stabilì che Torino era e sarebbe rimasta in futuro la se-
de dello Studio. La città si preparò immediatamente ad accogliere il ri-
torno di professori e studenti, e già il 17 dicembre si discuteva in con-
siglio comunale «quid providendum propter adventum Studii»; ma an-
che questo tentativo ebbe poco successo, poiché già tre anni dopo il duca
mutava parere, e con patenti del 13 febbraio 1427 acconsentiva a un
nuovo trasferimento dello Studio a Chieri, dimostrando non poca irri-
tazione per le difficoltà che esso aveva incontrato a Torino. La vicenda
parrebbe fin qui emblematica dell’incapacità di Torino ad affrontare gli
oneri connessi con la centralità istituzionale pur tenacemente persegui-
ta; proprio in questa occasione, tuttavia, la reazione della comunità di-
mostra che essa andava in realtà maturando, pur fra grosse difficoltà, la
determinazione necessaria per concretizzare le sue ambizioni.
Era, in verità, una maturazione attivamente appoggiata dalla dina-
stia, che su Torino tendeva comunque, per i motivi già accennati, a far
gravitare il proprio operato: pochi mesi dopo la decisione di Amedeo
VIII, che sia pure a malincuore sottraeva a Torino lo Studio, suo figlio
il principe di Piemonte, appena entrato in carica come luogotenente del
padre nelle province cismontane, dichiarava la volontà di favorire per
quanto possibile la ripresa della città, «que depopulata et ad penuriam
reducta est». Incoraggiata da queste assicurazioni, la credenza torinese
non tardava ad inviare al duca un suo rappresentante, il dottore in leg-
ge Giacomo Canzoni, coll’incarico di rivendicare la sede dello Studio,
ricordando ad Amedeo che appunto «pro restauracione et reconcilia-
cione» della città, spopolata e impoverita dalle guerre e dalle epidemie,
esso era stato a suo tempo istituito a Torino e non a Chieri. E proprio
l’irritazione per essere stati sfavoriti a vantaggio dei Chieresi stimolava
le rivendicazioni dei Torinesi, che già in precedenza, non appena avuta
notizia del trasferimento deciso dal duca, avevano protestato pubblica-
mente contro le mene dei rivali, dichiarando «quod nonnulli de Cherio
subornaverunt Studium Taurini […] sub subtilli ingenio extorquendo