

ipsum Studium a manibus civitatis Taurini cum certis eorum supplica-
cionibus […] tacita veritate et expressa falsitate». Il linguaggio della sup-
plica inviata di lì a poco al duca si colloca sulla stessa linea e mostra be-
ne la profondità dell’avversione e della diffidenza reciproca fra le due
comunità, perfettamente consapevoli del contrasto fra i rispettivi inte-
ressi: lo Studio, si ripeteva, era stato traslato «ad importunas infesta-
tiones communitatis Cherii», senza chiedere il parere di quella comu-
nità torinese «de cuius preiudicio tractabatur; que si citata fuisset, do-
lositatibus et cautelis ipsorum de Cherio procurasset obviare». Né la
«temeraria presumptio» dei Chieresi si era arrestata a tanto: «opido
Cherii honorem acquirendo non contenta nisi et civitati Thaurini invi-
da passione tolleret iam acquisitum», essa li aveva spinti a chiedere al
papa, all’insaputa del principe, la revoca dei privilegi già concessi a To-
rino, «civium et civitatis diffamatoria et ad eius ignominiam exarran-
do», ragion per cui l’oratore torinese invitava il principe a ritornare sul-
le sue decisioni e «ipsos de Cherio condigna pena punire».
La supplica proseguiva con argomenti che appaiono significativi del
tipo di pressioni che una comunità, pur completamente sottomessa co-
me quella torinese al potere del principe, riteneva di poter impiegare per
indurlo a mutare opinione: insistendo sulla povertà cui era ridotta To-
rino, e da cui solo il ritorno dello Studio avrebbe potuto riscattarla, l’am-
basciatore faceva balenare la possibilità che la città non fosse in grado
in avvenire di accogliere e festeggiare il principe con la magnificenza ne-
cessaria, e, ancor peggio, che risultasse incapace di difendersi da sola in
caso di guerra. Non pare, in verità, che il duca sia stato sensibile, alme-
no in un primo momento, a questo velato ricatto: il suo Consiglio in-
fatti, dopo lunga deliberazione, sentenziò che la supplica dei Torinesi
non era sufficientemente giustificata, e diede ragione ai Chieresi. Il fat-
to che di lì a poco il duca abbia ritenuto opportuno dichiarare ufficial-
mente che nel loro ricorso al papa per ottenere i privilegi connessi alla
presenza dello Studio i Chieresi erano trascorsi in termini ingiuriosi nei
confronti della città di Torino, ingiurie da cui egli si dissociava, rap-
presentò probabilmente per i Torinesi una ben magra consolazione.
Sennonché la tenacia da essi dimostrata in quell’occasione era ormai
sul punto di venir meno proprio fra i loro rivali chieresi: sintomo signi-
ficativo dello spostamento in corso negli equilibri fra le due città in ter-
mini di ambizioni e risorse. Pur meno ricca e popolata di Chieri, Tori-
no dimostra a partire da questi anni una volontà di affermazione, ed una
capacità di affrontare i sacrifici necessari, superiore a quella delle sue
concorrenti. Il soggiorno chierese dello Studio, in effetti, cominciò pre-
sto a essere turbato dall’insoddisfazione di professori e studenti e dall’in-
Torino e le comunità del Piemonte nel nuovo assetto del ducato sabaudo
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