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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)

sofferenza di almeno una parte della popolazione locale. Già nel 1430

lo Studio trattava per trasferirsi ad Ivrea, dove il consiglio comunale si

preparava con entusiasmo ad accoglierlo; rientrata poi quell’ipotesi, si

allacciarono trattative con Pinerolo, che parvero giungere a buon pun-

to nella primavera del 1434. A quella data la stessa comunità chierese

chiedeva ormai apertamente che lo Studio fosse trasferito, per l’ecces-

sivo peso economico che comportava; e il 23 agosto 1434 il duca ac-

consentiva alla richiesta, trasferendo lo Studio a Savigliano, non senza

manifestare sorpresa e scontento per l’ingratitudine con cui i Chieresi

avevano accolto i suoi benefici.

Il fatto che lo Studio sia stato spostato a Savigliano anziché a Tori-

no o a Pinerolo dimostra che, se l’emarginazione di Pinerolo era ormai

ben avviata, il fallimento della precedente esperienza torinese pesava

ancora sulle decisioni del duca. Ben presto, tuttavia, si scoprì che Savi-

gliano non era in grado di alloggiare e vettovagliare adeguatamente pro-

fessori e studenti: limiti di una città che per quanto paragonabile a To-

rino sul piano demografico, ed economicamente egemone nella propria

zona, era collocata in posizione troppo marginale per potersi permette-

re il privilegio di ospitare i corsi fra le proprie mura. E così la vicenda

giunse alla sua conclusione e, nonostante le proteste di Savigliano e l’in-

teresse nuovamente manifestato da Pinerolo, il principe Ludovico deci-

se una volta per tutte che proprio Torino offriva le condizioni migliori:

nacque così l’editto del 6 ottobre 1436, in cui era decisa congiuntamente

la sorte dello Studio e del Consiglio cismontano. In esso il principe, do-

po aver rilevato che lo Studio aveva dovuto in passato essere trasferito

da Torino a Chieri e poi a Savigliano «concurrente ipsius civitatis Thau-

rinensis ineptitudine», osservava che le esperienze degli ultimi anni ave-

vano egualmente dimostrato l’«incapacitate ac inhabilitate dicti loci Sa-

viliani», mentre al contrario Torino, grazie fra l’altro proprio alla pre-

senza del Consiglio, si era dopo di allora «plurimum populatam pariter

et restauratam»: sicché al principe non restava altra scelta se non quel-

la di venire incontro alle suppliche dei Torinesi, fissando una volta per

tutte e in perpetuo la sede dello Studio nella loro città.

Il primato assegnato a Torino dall’editto del 1436, come sede perpe-

tua tanto dello Studio quanto del Consiglio cismontano, non era insom-

ma il frutto di una scelta arbitraria, ma la conclusione logica di un pro-

cesso che, per quanto riguarda la presenza del Consiglio, aveva visto To-

rino prevalere nettamente sulla concorrente Pinerolo già nel corso degli

anni precedenti; mentre per quanto riguarda lo Studio risultava premiata

l’intraprendenza della comunità che, dopo molte esitazioni, si era mo-

strata pronta a investire in quella direzione più delle rivali, accollando-