

392
Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)
sofferenza di almeno una parte della popolazione locale. Già nel 1430
lo Studio trattava per trasferirsi ad Ivrea, dove il consiglio comunale si
preparava con entusiasmo ad accoglierlo; rientrata poi quell’ipotesi, si
allacciarono trattative con Pinerolo, che parvero giungere a buon pun-
to nella primavera del 1434. A quella data la stessa comunità chierese
chiedeva ormai apertamente che lo Studio fosse trasferito, per l’ecces-
sivo peso economico che comportava; e il 23 agosto 1434 il duca ac-
consentiva alla richiesta, trasferendo lo Studio a Savigliano, non senza
manifestare sorpresa e scontento per l’ingratitudine con cui i Chieresi
avevano accolto i suoi benefici.
Il fatto che lo Studio sia stato spostato a Savigliano anziché a Tori-
no o a Pinerolo dimostra che, se l’emarginazione di Pinerolo era ormai
ben avviata, il fallimento della precedente esperienza torinese pesava
ancora sulle decisioni del duca. Ben presto, tuttavia, si scoprì che Savi-
gliano non era in grado di alloggiare e vettovagliare adeguatamente pro-
fessori e studenti: limiti di una città che per quanto paragonabile a To-
rino sul piano demografico, ed economicamente egemone nella propria
zona, era collocata in posizione troppo marginale per potersi permette-
re il privilegio di ospitare i corsi fra le proprie mura. E così la vicenda
giunse alla sua conclusione e, nonostante le proteste di Savigliano e l’in-
teresse nuovamente manifestato da Pinerolo, il principe Ludovico deci-
se una volta per tutte che proprio Torino offriva le condizioni migliori:
nacque così l’editto del 6 ottobre 1436, in cui era decisa congiuntamente
la sorte dello Studio e del Consiglio cismontano. In esso il principe, do-
po aver rilevato che lo Studio aveva dovuto in passato essere trasferito
da Torino a Chieri e poi a Savigliano «concurrente ipsius civitatis Thau-
rinensis ineptitudine», osservava che le esperienze degli ultimi anni ave-
vano egualmente dimostrato l’«incapacitate ac inhabilitate dicti loci Sa-
viliani», mentre al contrario Torino, grazie fra l’altro proprio alla pre-
senza del Consiglio, si era dopo di allora «plurimum populatam pariter
et restauratam»: sicché al principe non restava altra scelta se non quel-
la di venire incontro alle suppliche dei Torinesi, fissando una volta per
tutte e in perpetuo la sede dello Studio nella loro città.
Il primato assegnato a Torino dall’editto del 1436, come sede perpe-
tua tanto dello Studio quanto del Consiglio cismontano, non era insom-
ma il frutto di una scelta arbitraria, ma la conclusione logica di un pro-
cesso che, per quanto riguarda la presenza del Consiglio, aveva visto To-
rino prevalere nettamente sulla concorrente Pinerolo già nel corso degli
anni precedenti; mentre per quanto riguarda lo Studio risultava premiata
l’intraprendenza della comunità che, dopo molte esitazioni, si era mo-
strata pronta a investire in quella direzione più delle rivali, accollando-