

4.
Torino e l’inizio degli anni difficili (1462-97).
Il ritorno di Ludovico di là dai monti, nei primi mesi del 1462, coin-
cideva con l’inizio di un lungo periodo di torbidi, attizzati dalle rivalità
interne alla dinastia e aggravati dalla cattiva salute dei duchi che si suc-
cedettero nel corso di qualche decennio alla testa del ducato sabaudo.
Alla ribellione di Filippo Senza Terra, in quello stesso 1462, seguivano
nel 1465 la morte di Ludovico e la salita al potere del malato Amedeo
IX, quindi la reggenza di Iolanda, a nome del marito già dal 1466 e suc-
cessivamente, dal 1472 al 1478, a nome del figlio Filiberto; al breve re-
gno di questi, dal 1478 al 1482, seguiva quello appena più lungo di Car-
lo I, ancora bambino al momento di succedere al fratello e morto nel
1490 a soli 22 anni, quindi la nuova reggenza, affidata questa volta a
Bianca di Monferrato vedova di Carlo, e conclusasi nel 1496 con la mor-
te del loro unico figlio; infine l’avvento di Filippo Senza Terra, duca per
poco più di un anno, dall’aprile 1496 al novembre 1497, quando gli suc-
cesse il figlio Filiberto II. Sullo sfondo di questa trama ininterrotta di
disgrazie dinastiche, la presenza sempre più ingombrante della monar-
chia francese, del ducato sforzesco e dei cantoni svizzeri ridava fiato agli
intrighi dei principi del sangue ed esercitava sulla politica dei duchi un
condizionamento cui appariva sempre meno facile sottrarsi.
Al clima di insicurezza creato dalle circostanze politiche Torino pagò
in quegli anni uno scotto pesante. Gli
Ordinati
del consiglio comunale
rendono esplicita testimonianza del deteriorarsi dell’ordine pubblico e
dell’accrescersi della violenza nelle strade della città, non contenuta
dall’istituzione di corpi di guardia ogni anno più numerosi: una vio-
lenza che aveva le sue radici nella sorda rivalità fra elemento savoiar-
do ed elemento piemontese, alimentata a sua volta dalla sempre più fre-
quente presenza in città di cortigiani e arcieri ducali, nella crescita dello
Studio e dunque della turbolenta comunità studentesca, nell’immigra-
zione che infoltiva senza posa i ranghi della popolazione, insomma in
quella «diversitatem gentium, linguarum et morum» cui il consiglio co-
munale attribuiva nel 1471 la responsabilità per le sempre più frequenti
manifestazioni di violenza
23
. A ciò si aggiunga la presenza ormai quasi
endemica della peste, ancor più assidua nelle sue visite a Torino du-
rante la seconda metà del Quattrocento di quanto non fosse stata in
precedenza, e comunque più letale, com’era inevitabile in una città ogni
Torino e le comunità del Piemonte nel nuovo assetto del ducato sabaudo
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23
Cfr. per un’analisi più approfondita
a. barbero
,
La violenza organizzata. L’Abbazia degli Stol-
ti a Torino fra Quattro e Cinquecento
, in «BSBS»,
lxxxviii
(1990), pp. 387-453.