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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)

giorno più popolosa e più trafficata; la peste che da sola poteva annul-

lare di colpo, anche se momentaneamente, la stessa centralità politica

della città, come nell’estate del 1479, quando il Consiglio cismontano

riparava a Rivoli e là convocava i Tre Stati «propter pestem regnan-

tem in Thaurino», o nel 1483, quando il Consiglio per sfuggire all’epi-

demia abbandonava la città per buona parte dell’anno, o, ancora, nel

1484, quando il duca stesso si rifugiava a Moncalieri «causante peste

qua undique ipsa patria et nos obsessi sumus». Non c’è quindi da sor-

prendersi se nel febbraio 1485 la comunità torinese era costretta a chie-

dere una dilazione nel pagamento del sussidio appena concesso al du-

ca, «causantibus caristiis et pestilenciis que res comunitatis civiumque

et incolarum in particulari et generali absorbuerunt», avvertendo che

da tale dilazione dipendeva la residua prosperità della città: «alias au-

tem pro maiori parte cives et incole et precipue plebei cogentur co-

munitatem ipsam absentare, constante extrema necessitate et pauper-

tate»

24

.

Torino pagava insomma un prezzo per il nuovo ruolo in cui la poli-

tica della dinastia e l’ambizione della sua oligarchia l’avevano proietta-

ta in tempi relativamente brevi; appunto per questo, tuttavia, non bi-

sogna dimenticare che la città era pur sempre, in modo ormai indiscus-

so, il centro politico e amministrativo del Piemonte sabaudo, e che

nessun’altra comunità era in grado di approfittare delle sue difficoltà

per contestarle, come un tempo, il primato. Di questa ormai definitiva

centralità torinese è facile riportare gli esempi, tanto nella quotidianità

del gioco politico e diplomatico quanto sul non meno importante piano

simbolico. Proprio allora si comincia a riscontrare nell’operato dei du-

chi una sollecitudine precedentemente sconosciuta per il decoro della

città, che prefigura anche se in dimensioni assai più modeste le cure de-

dicate dai loro successori cinque e seicenteschi all’assetto urbanistico

della capitale: ne offre un esempio la bolla papale impetrata nel 1464 dal

duca Ludovico, in cui si invitavano gli enti ecclesiastici torinesi a inco-

raggiare l’insediamento sui loro possessi suburbani delle «habitationes

rusticorum et stabula iumentorum» fino allora localizzate entro le mu-

ra, per non guastare il decoro di una città «in qua universale Studium

viget et ipsius ducis Consilium citra montes residet»; o, ancora, le di-

sposizioni prese da Bianca nel 1490 per la pulizia delle strade di Tori-

no, «in qua residentiam facere peroptamus»

25

.

24

tallone

,

Parlamento sabaudo

cit., V, pp. 269, 341, 349;

f. gabotto

,

Lo stato sabaudo da

Amedeo VIII ad Emanuele Filiberto

, Torino-Roma 1893, p. 303.

25

ASCT, Carte Sciolte, n. 3878;

cibrario

,

Storia di Torino

cit., p. 290.