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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)

di cospicue e continue forniture di sale ai produttori di grano e agli al-

levatori. Se il commercio dei cereali si rivela in questo periodo come una

delle attività prevalenti e forse a maggior reddito, quello dei capi da ma-

cello ha una motivazione diversa e più complessa. La prescrizione ri-

tuale, infatti, di consumare solo le parti anteriori degli animali, verifi-

candone la perfetta integrità fisica, rende disponibili per la rivendita ai

cristiani imponenti quantità di merce, e anche di tagli pregiati (ad esem-

pio, la coscia, ritenuta impura per la capillarità del sistema nervoso).

L’avversione del consiglio cittadino per il macello ebraico si manifesta

fin dall’inizio e costituirà una costante di secolare e ben comprensibile

rilievo: gli Ebrei acquistano dall’allevatore i migliori capi bovini, sovente

sotto forma di contratto di soccida; li introducono in città con facilita-

zioni daziarie; offrono a prezzi di concorrenza carne al minuto senza ot-

temperare agli obblighi prescritti ai beccai cristiani. È una situazione

anomala e senza vie d’uscita che si ripropone in tutte le comunità dis-

seminate per la penisola: sinagoga, cimitero e macello rituale, oltre, ben

s’intende, all’alloggio, sono requisiti irrinunciabili per consentirne la so-

pravvivenza.

L’alloggio, appunto, costituisce la chiave di volta nel difficile e sem-

pre precario equilibrio fra nucleo ebraico e consiglio cittadino. Appli-

care l’antico precetto canonico che gli Ebrei non debbano mantenere

«conversazione» con i cristiani, urta contro ostacoli di natura urbani-

stica; quando infatti la condotta prevede e sancisce il funzionamento di

banchi di prestito, questi presuppongono la disponibilità di grandi edi-

fici, ben custoditi, con magazzini e depositi adeguati e facilmente ac-

cessibili nel centro commerciale dell’abitato. L’attività di prestito su pe-

gno determina un continuo andirivieni di clientela, e quindi imprime

una particolare fisionomia alla strada e al quartiere dove si svolge; so-

vente piccole botteghe di stracceria e robe vecchie si affacciano attorno

al portone del banco o nel suo stesso cortile.

In effetti la richiesta del consiglio di Torino, pigramente accolta e ri-

badita dal governo ducale, di raccogliere tutti gli Ebrei «in aliquo an-

gulo et cancello»

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, avrebbe comportato sfratti e trasferimenti di popo-

lazione: misure cioè di notevole costo e difficoltà, che a Torino poteva-

no essere programmaticamente assunte soltanto negli anni Ottanta del

Seicento, e nelle altre città del Piemonte quasi mezzo secolo più tardi.

Del resto, ancora nel 1457 si determinava una manifesta divergenza tra

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Doc. 251 (6 ottobre 1436): il trasloco degli Ebrei, che occupavano «domus necessarie et

apte pro doctoribus», rientra fra le misure previste per il trasferimento dell’università da Savi-

gliano a Torino.