

le richieste del consiglio e l’intenzione politica del duca, che si dichia-
rava disposto sì a cercare un quartiere adatto ad insediarvi gli Ebrei, ma
lasciava ostentatamente cadere quel requisito della «clausura»
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, che da
oltre trent’anni veniva in ogni occasione ribadito. D’altronde, la dispo-
nibilità di spazi abitativi e commerciali nelle vie centrali della città sta-
va assumendo nella Torino degli anni Trenta del Quattrocento un ca-
rattere di attualità e urgenza. Nel 1436 infatti il principe Lodovico, che
reggeva lo Stato nell’attesa che il padre assumesse la tiara, si risolveva
ad attuare il trasferimento dello Studio da Savigliano a Torino. Profes-
sori e studenti avevano sollecitato questa misura, accampando carenze
di alloggio e di approvvigionamento che ritenevano superabili solo nel-
la più vivace e meglio rifornita capitale del principato. Il loro occhio si
era fissato proprio sulle case occupate dagli Ebrei, riscuotendo il pieno
consenso del consiglio cittadino.
Ai consiglieri municipali e agli studenti si aggiungono, con crescen-
te forza di voce, altri ben più risoluti e decisivi avversari della perma-
nenza ebraica a Torino, i predicatori degli ordini mendicanti. A darce-
ne un’anodina ma solenne informazione è la bolla emanata a Ginevra il
10 marzo 1444
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da Felice V, che parla ora nella sua nuova veste pon-
tificale, ma rivendica il dovere di rispettare quel governo secolare che
tanto a lungo e così fermamente ha egli stesso esercitato. Ci sono dun-
que, egli dice, «plerique mendicancium et aliorum ordinum predicato-
res» da cui «nonnulli iniquitatis filii» sono stati ispirati ad abbandonarsi
a eccidi e saccheggi. La bolla papale non lo dice, ma sappiamo che que-
sti predicatori indossano quasi tutti l’abito dei Minori Francescani os-
servanti, i cosiddetti Zoccolanti, e che le violenze hanno trovato i loro
principali teatri a Ivrea e Vercelli. È però nelle chiese di Torino e di tut-
ta la diocesi, con una particolare raccomandazione al clero di Saviglia-
no, che il vescovo di Torino, Ludovico da Romagnano, fa subito legge-
re dai pulpiti la bolla e ordinarne l’osservanza.
Il duca Ludovico ha dunque mostrato di non avere intenzione di per-
seguitare e tanto meno espellere gli Ebrei, ma nel contempo desidera
dare un prospero avvio allo Studio, che si è appena trapiantato in città.
Deve quindi sforzarsi non di contrapporre le due diverse esigenze, op-
tando in alternativa per l’una o per l’altra, ma conciliarle. La soluzione
gli è, loro malgrado, offerta dagli stessi studenti, che sollecitano l’atti-
vazione di un servizio creditizio: non chiedono cioè un banco ebraico,
L’economia e la società
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Docc. 610 (4 gennaio 1457). Il duca parla di «locum deputandum pro habitacione judeo-
rum», il consiglio di «recludendo judeos in uno loco».
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Docc. 381-82.