

feriva loro la piena facoltà di incaricare i professori, definire gli stipen-
di, stabilire il calendario delle lezioni; inoltre, per migliorare la gestio-
ne contabile, istituiva la figura del tesoriere, al quale competeva la ge-
stione dei fondi dell’università, compreso il pagamento del personale.
Ma in quella occasione Amedeo VIII, pur non prevedendo alcun coin-
volgimento degli organismi di governo cittadino nelle decisioni relative
all’organizzazione e al funzionamento degli studi, richiese all’ammini-
strazione locale sempre più insistenti e perentori finanziamenti. L’im-
posizione della nuova gabella sul sale in transito nelle terre piemontesi
del ducato, che doveva rappresentare la principale rendita per sostene-
re l’attività dello Studio (in primo luogo per gli stipendi dei professori),
non determinò infatti un alleggerimento del solito contributo di 400 fio-
rini richiesto al comune. Nonostante la dotazione ordinaria risultava
spesso difficile reperire le somme per onorare gli impegni finanziari as-
sunti, essendo la città oberata di spese, soprattutto per opere pubbliche
via via considerate prioritarie e inderogabili, come la manutenzione del-
le mura o dei ponti. Né si rivelarono sufficienti le sovvenzioni richieste
al clero da parte del pontefice Martino V, che – per coadiuvare lo Stu-
dio – prima del 1421 aveva concesso un sussidio di 500 fiorini d’oro sui
beni ecclesiastici delle diocesi di Torino, Ivrea, Aosta e Mondovì
30
.
Lo Studio di Torino ebbe quindi un avvio abbastanza stentato e in-
certo con notevoli difficoltà di funzionamento. Guerre, epidemie, crisi
congiunturali, ma forse soprattutto una certa riluttanza di una parte del
ceto dirigente a favorire le scuole di tipo universitario e le conseguenti
tensioni nei rapporti con il comune, ne condizionarono gli esordi, com-
portando fra l’altro diversi trasferimenti di sede nell’ambito della dio-
cesi. Tali peregrinazioni, pur previste nel diploma imperiale di Sigi-
smondo in relazione a cause giuste e ragionevoli, non procurarono al-
l’università maggior fortuna. Chieri la ospitò almeno fra il 1427 ed il
1434, anche se la documentazione disponibile – peraltro esigua – lasce-
rebbe ipotizzare una coesistenza temporanea o un’alternanza più o me-
no formalizzata della sede chierese e di quella torinese già dai primi an-
ni Venti, se non addirittura dalla fine del secondo decennio del secolo,
anteriormente cioè al trasferimento ufficiale sancito nel 1427 da un de-
creto ducale
31
. Un nuovo spostamento di sede a Savigliano, nel 1434,
comportò gravi difficoltà correlate alla cospicua presenza di studenti e
La vita e le istituzioni culturali
599
30
Questo documento, come quello relativo alla «riforma» di Amedeo VIII, è edito dal
val-
lauri
,
Storia delle Università degli Studi del Piemonte
cit., pp. 258-61, doc.
xiii
.
31
Cfr.
e. bellone
,
Il primo secolo di vita dell’Università di Torino (secoli
xv
-
xvi
)
, Torino 1986,
pp. 39-57.