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sto – contestava agli universitari i loro privilegi sollevando continue pro-

teste, non esitava a riconoscere ai grammatici analoghe franchigie sul-

l’importazione di vettovaglie, oltre all’esonero da oneri personali di va-

ria natura, in nome dell’utilità sociale del loro ufficio; e agli scolari fo-

restieri concedeva – come agli universitari – particolari immunità ed

esenzioni fiscali al fine di favorirne l’afflusso e potenziare così la scuo-

la pubblica di grammatica

58

.

L’insegnamento preuniversitario, notoriamente già da tempo finan-

ziato e sostenuto dall’intervento pubblico, continuò ad essere gestito

dall’amministrazione cittadina, cui competeva sempre la nomina del

maestro di scuola, il quale a sua volta si avvaleva della collaborazione di

almeno un ripetitore. Tra Quattro e Cinquecento non sembrano dun-

que intervenire modificazioni sostanziali nell’organizzazione scolastica,

a Torino come nel resto del Piemonte. Com’è noto, ciò che cambia ri-

spetto al periodo precedente è piuttosto l’atteggiamento con cui si co-

minciò ad affrontare la questione dei contenuti didattici ed educativi.

Infatti fino ai primi decenni del

xv

secolo il ceto dirigente torinese si

era limitato a richiedere ai maestri il generico impegno a svolgere il ser-

vizio «bene, fideliter et diligenter», mostrando un’attenzione pressoché

esclusiva agli aspetti burocratici e organizzativi. In seguito però anche

a Torino, persino con un certo ritardo rispetto ad altre località piemon-

tesi

59

, incominciò ad evidenziarsi una maggiore considerazione per i me-

todi e i programmi di insegnamento, talora anche con l’imposizione di

particolari libri di testo: in un contratto del 1439 sono menzionati il

Doctrinale

, il

De consolatione (philosophiae)

di Boezio, una imprecisata

Summa

(forse la

Summa in Priscianum

del popolare grammatico Pietro

Elia, comopsta nel secolo

xii

, o un’altra

Summa

di logica, redatta da Pie-

tro Ispano o da altro autore del secolo successivo), oltre ad opere di re-

torica

60

. Contestualmente si imponeva l’idea dell’importanza della scuo-

la come luogo fondamentale per la formazione del cittadino, per cui i

La vita e le istituzioni culturali

611

58

Cfr.

a. m. nada patrone

,

«Super providendo bonum et sufficientem magistrum scholarum».

L’organizzazione scolastica delle città del tardo medioevo

, in

Città e servizi sociali nell’Italia dei seco-

li

xii-xv

cit., p. 61.

59

Si rinvia a

i. naso

,

La scuola

, in questo stesso volume, pp. 327-37.

60

Il riferimento è al contratto stipulato dalla città con un maestro Domenico (

Ordinati

, 69, ff.

106

v

-107

r

, verbale del 1° maggio 1439; cfr.

g. manacorda

,

Storia della scuola in Italia

, I.

Il Me-

dioevo

, Milano-Napoli-Palermo 1914, ristampa anastatica con presentazione di E. Garin, Firenze

1980, p. 329). In generale sui contenuti dell’insegnamento, che peraltro appaiono relativamente

uniformi nelle diverse realtà, si veda

c. frova

,

La scuola nella città tardomedievale: un impegno pe-

dagogico e organizzativo

, in

r. elze

e

g. fasoli

(a cura di),

La città in Italia e in Germania nel me-

dioevo. Cultura, istituzioni, vita religiosa

, Bologna 1981, pp. 119-43. In particolare sui testi utiliz-

zati nelle scuole piemontesi cfr.

a. m. nada patrone

,

Vivere nella scuola. Insegnare e apprendere nel

Piemonte del tardo medioevo

, Cavallermaggiore 1996, in particolare pp. 169-75.