

Allo stato attuale delle ricerche non si dispone di elementi che con-
sentano di documentare l’insegnamento dell’abaco o comunque dell’arit-
metica e della contabilità: le rare attestazioni per il Piemonte, che sono
generalmente non anteriori al tardo Quattrocento, si riferiscono piut-
tosto a centri come Chieri, dove era certamente determinante la tradi-
zione economico-mercantile
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, a ulteriore conferma della vocazione non
propriamente commerciale di Torino, che – pur non trascurando le at-
tività mercantili e manifatturiere – tendeva a potenziare il proprio ruo-
lo di centro amministrativo dello stato sabaudo.
Il secondo Quattrocento rappresentò una fase particolarmente favo-
revole per le istituzioni scolastiche torinesi, che forse in quel periodo
dovettero affrontare minori problemi finanziari. Le forze politiche cit-
tadine privilegiavano indubbiamente la scuola di grammatica che soste-
nevano con una certa larghezza di mezzi, perché su di essa esercitavano
direttamente la loro ingerenza con ampi spazi di autonomia. Per contro
l’intervento pubblico appariva assai meno spontaneo e motivato quando
si trattava di finanziare le attività dello Studio e predisporne le struttu-
re; del resto l’università era controllata dall’autorità signorile e il gover-
no cittadino non poteva esprimere alcun potere decisionale, limitandosi
il suo ruolo a funzioni di tipo esecutivo, che comunque comportavano –
come si è visto – un rilevante impegno finanziario più o meno forzoso.
Anche i due rappresentanti della città, che dal 1436 entrarono a far par-
te del consiglio dei riformatori, erano di fatto in minoranza e per di più
venivano nominati dal Consiglio ducale cismontano
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. Pertanto l’ammi-
nistrazione cittadina, che mirava a fare di Torino un importante centro
di studi secondari, non ricoprì mai alcuna parte attiva nei vertici dello
Studio e perciò non ebbe modo, né forse era interessata, ad influenzare
la politica universitaria; anzi nella maggior parte dei casi le richieste di
finanziamento o di lavori finalizzati alle esigenze dell’università veniva-
no recepite come vere e proprie imposizioni e come tali erano mal tolle-
rate, quando non addirittura ignorate: del resto esse implicavano sempre
ulteriori spese a carico del bilancio comunale, talora con interventi im-
portanti molto costosi e impegnativi, come quando il duca Ludovico di
Savoia, nell’atto di trasferimento da Savigliano, diede ordine di lastri-
care entro quattro anni le principali vie cittadine, che ancora erano in
terra battuta. Con l’obiettivo di migliorare le condizioni della viabilità,
e proprio in ragione della presenza dello Studio, si contribuiva così a de-
La vita e le istituzioni culturali
615
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nada patrone
,
Modelli pedagogici
cit., p. 18, ed
ead
.,
Vivere nella scuola
cit., pp. 178-80.
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vallauri
,
Storia delle Università degli Studi del Piemonte
cit., p. 291, doc.
xix
.