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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)

problemi di tipo amministrativo – prima prevalenti – lasciarono spazio

a contenuti con una marcata connotazione civica; secondo una linea di

tendenza che all’epoca ispirava la politica scolastica di molte città ita-

liane, l’educazione morale e religiosa acquisì pertanto un ruolo sempre

più rilevante, attraverso l’imposizione ai maestri di trasmettere specifi-

ci codici di comportamento

61

.

Questa nuova qualificazione della scuola, intesa anche come stru-

mento di controllo dei cittadini al fine di assicurare un miglior ordine

sociale e il rispetto dell’autorità costituita, comportava indubbiamen-

te un progresso dal punto di vista della diffusione della scolarità di ba-

se, che divenne meno elitaria: se infatti a Torino fino agli anni Qua-

ranta del Quattrocento la frequenza scolastica implicava ancora un in-

tervento finanziario delle famiglie, anche per la prima alfabetizzazione,

con rette di entità controllata per i Torinesi e libere per i forestieri (an-

corché differenziate rispetto ai diversi livelli di insegnamento), circa

un ventennio più tardi si richiese alla scuola pubblica di accogliere tut-

ti i cittadini e i residenti a titolo gratuito

62

. Il governo locale era dun-

que orientato a compiere un notevole sforzo finanziario sobbarcando-

si l’intero costo dell’istruzione primaria e secondaria. Tale scelta, che

si traduceva evidentemente in una vigilanza più rigorosa sul sistema

scolastico, condizionò anche la durata delle ferme dei maestri, ridi-

mensionando in generale il tipico fenomeno del loro nomadismo: nel

secondo Quattrocento l’amministrazione torinese cercava di assicura-

re una maggiore continuità didattica con periodi contrattuali ormai me-

diamente superiori a cinque anni e con frequenti riconferme. Un po’

ovunque si tentò anche di ovviare al problema delle numerose inter-

ruzioni dell’attività di insegnamento in seguito a particolari situazioni

di instabilità, in primo luogo le ripetute epidemie: se da un lato infat-

ti non si poteva ragionevolmente impedire al maestro di allontanarsi

in tempo di peste, dall’altro sempre più spesso gli si richiedeva l’im-

pegno a tenere comunque scuola in qualche località limitrofa immune

dal contagio.

61

Nel 1439 l’amministrazione torinese fece introdurre tra le clausole contrattuali per la fer-

ma del

rector scolarum

anche l’impegno ad educare gli scolari «in bonis moribus», affinché diven-

tassero «reverentes et grati» (

Ordinati

, 69, ff. 106

v

-107

r

, verbale del 1° maggio 1439). Sul pro-

blema in generale cfr.

c. frova

,

Istruzione e educazione nel medioevo

, Torino 1973, pp. 72-73; in

particolare per il Piemonte si veda

nada patrone

,

«Super providendo bonum et sufficientem magi-

strum scholarum»

cit., pp. 53-54.

62

ASCT,

Ordinati

, 70, ff. 34

v

-35

r

(verbale del 18 agosto 1441); 77, f. 164

r

(verbale del 10

aprile 1460). Cfr. anche ASCT,

Liber rationum

, f. 131

v

(1468): i registri dei conti dell’ammini-

strazione comunale potrebbero fornire dati interessanti sui pagamenti effettuati a carico del bi-

lancio locale, ma finora sono stati oggetto solo di qualche sondaggio.