

Il Piemonte del primo tardo medioevo sembra dunque interpretare
con una certa discontinuità la condizione di territorio d’ampie tra-
smissioni culturali la cui intermittenza non consente, tuttavia, di rico-
noscervi una globale identità di ruolo, un’univoca ricezione e ritra-
smissione di modelli. È anzi nel pieno tardo medioevo che in Piemon-
te sorgono scritture storiografiche che sembrano meglio esprimere
quella effettiva tendenza al particolare, alle prassi locali tipica d’una
scrittura di corte.
Il
topos
della «vita di corte» è certamente funzionante in quest’ope-
razione di ricerca: nella gerarchia mentale che s’instaura in un ambien-
te misurato sulla figura del principe si accentrano le capacità di richia-
mo, di mecenatismo, d’immagine pubblica che l’aristocrazia intellettuale
della corte promuove. Savoia, Monferrato, Saluzzo, corti franco-bor-
gognone preparano la distruzione della libertà testimoniale dello scrit-
tore per esaltare la funzione celebrativa del cronista. L’apoteosi del prin-
cipe diventa punto di riferimento tematico dell’ideologia storiografica
e, semmai, funziona come misura sulla quale rapportare le differenti qua-
lità, le diverse altezze espressive di questo genere: la cronistica subalpi-
na, in tal senso, è ben più evoluta della tradizionale cronistica sabauda;
quest’ultima legata a schemi essenzialmente transalpini, pur dominan-
do ormai, nel
xv
secolo, le maggiori aree pedemontane, e dunque for-
temente legata ai miti della cavalleria e della difesa dei valori cristiani;
l’altra, la storiografia subalpina, espressione d’una più vivace sensibilità
all’apporto di culture esterne e al recupero di tradizioni classiche che già
dicono la sua vocazione tutta umanistica. Anche se rimane forte l’im-
pressione di non aver saputo, questa storiografia, liberarsi dagli schemi
d’una scrittura essenzialmente celebrativa, imperniata oggi sulla gloria
del signore, come nel medioevo fu impegnata dall’esaltazione del re o
dell’imperatrice. Il tutto disegna una ufficialità ideologica, una organi-
cità dello scrittore che lo mettono in strettissima dipendenza dai suoi
datori di lavoro, una condizione burocratica che poco ha a che vedere
con l’evoluzione del modo di far storia, pur alimentando dentro un sen-
so della tradizione che non genera grandi innovazioni. La vicinanza del
cronista ai poteri forti del suo tempo, il principe e la sua condotta am-
ministrativa, ne condiziona la testimonianza e, al fondo, ne impedisce
la circolazione come modello. Troppo personale questo rapporto, trop-
po viziato il possibile modello da esportare altrove; altrove esistono al-
La vita e le istituzioni culturali
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ferrato 1926;
Dal Piemonte all’Europa: esperienze monastiche nella società medievale
(Atti del XXXIV
Congresso Storico Subalpino nel Millenario di San Michele della Chiusa, Torino 27-29 maggio
1985), Torino 1988, assolutamente prezioso.