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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)

piva le taverne torinesi, con consumi eccezionali di vino e di carne. Sen-

za dimenticare il pane, per il quale Torino aveva trovato straordinarie

opportunità di entrate, con il monopolio della moltura.

Una ge s t i one progr amma t a .

A questo punto, non stupisce il tenore delle clausole contrattuali per

i versamenti di denari da parte dell’appaltatore della gabella grossa.

Dei 6700 fiorini che aveva promesso, egli doveva versarne 500 di-

rettamente al tesoriere dell’università. Erano finiti i tempi della ricer-

ca affannosa dei denari per questo privilegio, magari attraverso una ta-

glia apposita. Era una classica delegazione di cespite, stabilita anche per

altre cifre minori, come per i 20 fiorini da pagare ai signori del Consi-

glio cismontano ed i 15 fiorini da destinare «balestreriis et archeriis»

della città.

La rateizzazione dei pagamenti al massaro della città prevedeva re-

golari versamenti mensili e due momenti importanti, nei quali doveva-

no essere garantiti 250 fiorini aggiuntivi: la festa di Ognissanti e il me-

se di maggio. Si può ritenere che queste due date fossero dettate dallo

svolgersi dell’annata vinicola. Per la festa di Ognissanti si facevano le

provviste di uve, mosto e vino novello dell’ultima vendemmia e per il

mese di maggio, dopo Pasqua, erano terminate le provviste primaverili

di vino. In questi due momenti, quindi, vi era il massimo flusso di pa-

gamenti per la gabella grossa e l’appaltatore avrebbe usufruito di una

buona liquidità. La città non intendeva certo non averne parte e pre-

tendeva con forza la sua quota di beneficio. Se l’appaltatore non aves-

se rispettato questi termini, avrebbe dovuto pagare una penale fortissi-

ma, di ben 200 ducati d’oro.

La quota ridotta della gabella grossa per i cittadini torinesi era sta-

bilita in 5 soldi viennesi per sestario, «vini colecti in propriis possessio-

nibus, etiam si dictum vinum vendiderit ad minutum». Si incomincia-

no ad intravedere pratiche di sapore e, è il caso di dirlo, di profumo mer-

cantilistico, ricco di protezionismo.

Intorno alla gabella grossa, si svilupparono anche altri aspetti, oltre

quello monetario. In particolare si assiste alla regolamentazione della

vendita del vino da parte di osti e tavernieri, i quali dovevano essere

muniti di apposita licenza ed essere registrati, anche per facilitare i con-

trolli per l’imposizione e l’esazione della gabella.

Ancora, venne esaltato il ruolo di una professione, quella dei bren-

tadori, che svolgeva una funzione fondamentale. I brentadori, posses-

sori dei recipienti bollati, le brente, per la misura ed il travaso dei vini,