

per il loro operare. Il rapporto risentiva certamente della dipendenza di
sudditi, ma non più di tanto. Infatti, nella misura in cui i Torinesi inco-
minciavano a disporre di risorse monetarie, essi erano in grado di porsi
in una certa posizione di forza. Disponendo di denari, potevano soddi-
sfare le continue esigenze del fisco ducale, ma contrattando in una sorte
di
do ut des
. Il punto di svolta, ancora timida e parziale, è nelle citate pa-
tenti del 20 dicembre 1426, quando i consiglieri comunali torinesi si li-
berarono dal passato, pagando un vero e proprio riscatto di 400 fiorini.
Essere il centro più importante del dominio dei Savoia al di qua dei
monti, era certamente più produttivo dell’essere un centro di frontiera
del dominio degli Acaia. Il Savoia, del resto, non poteva che prendere
atto con soddisfazione di avere fra i suoi domini un centro in grado di
disporre di risorse finanziarie, al quale era possibile ricorrere in caso di
necessità. La cessione dei mulini cittadini liberava il principe da un pe-
so, assicurando anche un certo reddito.
A posteriori il panorama appare con sufficiente chiarezza, anche se
resta difficile, come spesso accade nell’analisi storica, comprendere se il
processo sia stato frutto di una qualche sorta di progetto programmato.
Allo stato attuale mi pare più il risultato di una serie di decisioni con-
tingenti, tutte però convergenti verso il buon risultato finale.
Ciò che può stupire sta nella abbondanza di denari che pare caratte-
rizzare la piazza torinese fra la fine del Quattrocento ed i primi decen-
ni del Cinquecento. Forse, i Torinesi trassero un buon profitto da un
minor peso fiscale che pare applicato loro, beneficiando del contributo
apportato dai forestieri, al limite del taglieggiamento. Nel momento in
cui le diverse città italiane, che avevano vissuto i primi magnifici seco-
li del secondo millennio, stavano entrando in crisi, Torino sembra in-
traprendere un periodo della sua vita economica in controtendenza.
Nell’esaminare la crisi e l’inizio del declino economico dell’Italia fra
la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, il Cipolla ha scrit-
to: «D’improvviso, tra il 1494 ed il 1538 sull’Italia si abbatterono i ca-
valieri dell’Apocalisse. Il Paese divenne campo di battaglia di un con-
flitto internazionale che coinvolse Spagnoli, Francesi e Germanici»
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.
Forse, i Torinesi riuscirono a far pagare le gabelle e la moltura anche
nel vino e nel pane dei cavalieri dell’Apocalisse, almeno sino a quando
non entrarono in conflitto aperto con i Francesi. Questi ultimi del re-
sto non potevano non essere attratti dalle straordinarie opportunità fi-
nanziarie offerte da Torino.
(
g. b.
)
La classe dirigente e i problemi di una città in crescita
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29
c. m. cipolla
,
Storia economica dell’Europa preindustriale
, Bologna 1993.