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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)

punto esclusivo di svolgimento e di arrivo della sua vicenda. Il Piemon-

te è la regione in cui egli nasce nel 1442 e in cui, pur risiedendo sempre

presso la curia romana, inizialmente accumula benefici. Grazie all’ap-

poggio del fratello Cristoforo, morto agli inizi del 1478 appena eletto

cardinale

45

, e soprattutto del cardinale Francesco della Rovere – omo-

nimo, ma non parente –, futuro papa col nome di Sisto IV, egli compie

una carriera assai rapida: nel 1478, subito dopo la morte del fratello, po-

co più che trentacinquenne è eletto cardinale del titolo di San Vitale,

arcivescovo di Tarantasia e vescovo di Corneto e Montefiascone; nel

1479 è trasferito al titolo cardinalizio di San Clemente; nel 1482, a qua-

rant’anni, riceve il vescovato di Ginevra, a cui rinuncia in cambio del

vescovato di Torino. Non potendo proseguire nell’illustrare nei parti-

colari gli eventi in cui Domenico della Rovere fu coinvolto e di cui fu

protagonista, mi limito a ricordare che egli «restò sempre il tramite ob-

bligato per le relazioni tra la corte sabauda e quella pontificia»

46

. E le

sue relazioni con la sede episcopale di Torino?

Torino non appare soltanto uno dei luoghi ecclesiastici strumental-

mente occupati nel corso di una carriera, un beneficio tra i tanti altri;

nel 1473 aveva ricoperto la carica di preposito del capitolo cattedrale,

ma l’anno successivo era già a Roma, ritornando nella città piemontese

soltanto nel dicembre 1483 per prendere possesso della sede vescovile.

Lo dimostrano le decisioni di provvedere alla costruzione della nuova

cattedrale cittadina e di far trasportare il proprio cadavere in quella chie-

sa e, in particolare, nella cappella del Crocifisso da lui stesso voluta. La

prima decisione appare di grande rilievo, poiché non dovette essere fa-

cile far accettare al clero cattedrale, alle magistrature cittadine e alla po-

polazione urbana l’abbattimento delle tre anteriori antiche chiese per

far posto a un unico seppur grandioso edificio: forse a favorire l’impresa

non c’era soltanto l’indubbio prestigio e l’innegabile potere del prelato

piemontese-romano, bensì soprattutto il fatto che egli se ne accollasse

le rilevanti spese e che già l’idea di una ricostruzione fosse circolata in

Torino – il vescovo Ludovico di Romagnano aveva espresso l’intenzio-

ne di «facere unam basilicam»

47

. C’era poi anche l’accorta volontà del

prelato di conservare nel nuovo edificio quegli elementi che ricordava-

no visivamente il passato/presente e sanzionavano materialmente la per-

sistente esistenza di prevalenze nobiliari, di origine più o meno antica

– sorrette da un’assai ampia disponibilità economica –, consapevolmente

45

Cfr.

id.

,

sub voce

«Della Rovere, Cristoforo»,

ibid.

, pp. 333 sg.

46

id.

,

sub voce

«Della Rovere, Domenico» cit., p. 335.

47

f. rondolino

,

Il Duomo di Torino illustrato

, Torino 1898, pp. 14 sg., 27.