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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)
ca di organizzarsi per
funzionare
nel «migliore dei modi» allora ritenuti
possibili.
È a questo secondo e fondante livello che occorre cogliere le forme e
le modalità attraverso le quali si realizzano il governo delle diocesi e l’in-
quadramento religioso delle popolazioni. Alla testa della diocesi di To-
rino vi sono dei nobili-prelati, i quali possono essere presenti o assenti
nella loro sede, ma sempre sono affiancati da vicari generali o da vesco-
vi coadiutori – per lo più titolari di episcopati
in partibus infidelium
–,
appartenenti allo stesso strato sociale e partecipi della medesima cultu-
ra e delle medesime ambizioni dei titolari. A quanto si è in grado oggi di
capire dalla bibliografia disponibile e da taluni sondaggi documentari, la
Chiesa torinese non è mai priva di guida, né si manifestano particolari
segni di stanchezza nel governo diocesano. È evidente che in proposito
le indagini andranno approfondite per capire con precisione come si ar-
ticoli e funzioni la curia vescovile, quali processi di burocratizzazione in
essa si sviluppino e quali siano i chierici in essa impegnati
62
. Degli aspet-
ti istituzionali pressoché nulla sappiamo. Conosciamo invece i nomi di
molti vicari generali, per esempio, di quelli che agirono sotto i tre ve-
scovi della Rovere: Antonio Darmelli di Moncalieri, Marco Piossasco di
Scalenghe, Amedeo Berruti di Moncalieri, Giovanni Gromis di Biella,
Giovanni Ludovico della Rovere, Andrea Provana di Leinì, Bartolomeo
Ogerio, Baldassarre Bornezzo di Vigone, Antonio Vacca di Saluzzo, Gu-
glielmo Bardini, Barnaba Provana
63
.
In attesa di specifiche ricerche prosopografiche su tali prelati, è fa-
cile individuare in essi, oltre che l’appartenenza al capitolo cattedrale di
Torino, l’origine nobiliare e il reclutamento da uno strato chiericale as-
sai elevato. Che cosa possiamo aspettarci da loro e dagli stessi vescovi
di Torino in riferimento al governo diocesano? Alla domanda non è fa-
cile rispondere in modo esaustivo. Limitiamoci a riprendere talune in-
dicazioni in precedenza espresse a proposito dei processi di «secolariz-
zazione» che sono impliciti nell’egemonia prelatizia esercitata dalla no-
62
Su tali temi il miglior studio, a mio parere, è di
d. rando
,
Dai registri delle ammissioni nella
diocesi di Trento (1478-1493). Il clero parrocchiale ausiliare tra mobilità, marginalità e disciplinamen-
to
, in corso di stampa. Cfr., in generale, sui processi di burocratizzazione delle curie vescovili,
g.
chittolini
,
«Episcopales curiae notarius». Cenni sui notai delle curie vescovili nell’Italia centro-set-
tentrionale alla fine del medioevo
, in
Società, istituzioni, spiritualità. Studi in onore di Cinzio Violan-
te
, Spoleto 1994, pp. 221-32 (con aggiornata bibliografia).
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grosso
e
mellano
,
La Controriforma
cit., I, p. 20, nota 37. Cfr., anche, i significativi cen-
ni biografici riportati in
solero
,
Il Duomo di Torino
cit., pp. 87-92. Un’esemplare indagine sugli
uomini e gli interessi operanti in una diocesi della seconda metà del
xv
secolo è di
g. battioni
,
La
diocesi parmense durante l’episcopato di Sacramoro da Rimini (1476-1482)
, in
chittolini
(a cura di),
Gli Sforza, la Chiesa
cit., pp. 115-213.