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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)

toria che ribadisce l’opera del cardinale collegandola al prestigio della

terra di cui sono signori i Savoia

76

. Poi, entrando, nel transetto sinistro

la cappella dei Romagnano, sul lato destro del coro la cappella dei Val-

perga di fronte alla cappella dell’arcidiacono Andrea Provana, nel tran-

setto destro la cappella familiare dei della Rovere voluta dal cardinale

Domenico. La descrizione potrebbe continuare per arrivare a un unico

risultato. Lo spazio sacrale, privatizzandosi, si secolarizza. Certo, quei

nobili si rivolgono al Dio della peculiare tradizione cristiana; ma, più

che esaltare quel Dio e dichiararsi peccatori al suo cospetto, celebrano

la propria grandezza mondana – una celebrazione costosissima sul pia-

no dell’impegno finanziario – che vogliono materialmente visibile nelle

strutture architettoniche della chiesa matrice torinese: la quale, prima

che alla città di Torino, appartiene a loro, ai membri chierici e laici del-

le grandi case gentilizie.

Qualora ci si chieda che cosa c’entri tutto ciò con l’inquadramento

religioso delle popolazioni, la risposta non può che essere positiva: c’en-

tra, eccome! Perché dalle famiglie nobiliari provengono i componenti

del capitolo cattedrale, provengono i vescovi: anzi quelle famiglie cer-

cano un potenziamento della propria grandezza anche attraverso le ca-

riche ecclesiastiche, talora tentando di «dinastizzarle». Siffatta stru-

mentalizzazione non implica, per contro, che i nobili-prelati vengano

necessariamente meno ai loro compiti di «pastori»

77

. Da quanto, sia pur

in modo frammentario, sappiamo, i vescovi di Torino, di persona, o per

mezzo di vicari – in caso di loro assenza –, compiono visite pastorali, ra-

dunano sinodi diocesani, consacrano nuovi chierici, difendono i diritti

della propria sede, provvedono ad assegnare chiese e ad accorpare be-

nefici, e così via. I nobili-prelati si inseriscono nella diffusione di stili e

mode religiosi: per cui nelle chiese di Torino e della diocesi si moltipli-

cano le cappelle di patronato nobiliare – ed è fenomeno assai poco stu-

diato per la diocesi torinese –, cioè si moltiplicano i simboli religiosi di

un’egemonia socio-politica e culturale, accanto a cappelle erette da con-

fraternite e associazioni di mestiere, le quali in tal modo «collettivo»

manifestano la loro presenza nelle chiese e, attraverso queste, nella ge-

rarchia sociale.

Si tratterà allora di chiarire quale peso abbia avuto durante il Quat-

trocento l’aristocrazia, maggiore e minore, nel controllo delle chiese e

della simbologia religiosa – e non solo dei benefici ecclesiastici –, e qua-

76

Se ne veda il testo in

rondolino

,

Il Duomo

cit., p. 83.

77

Cfr., per l’unica area della diocesi soggetta a un’analisi sufficientemente documentata,

dao

,

La Chiesa nel Saluzzese

cit., pp. 187 sgg.