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biltà. Per il nobile-prelato ciò che conta sembra essere la sua apparte-

nenza di classe e il desiderio di contribuire a migliorare le fortune della

propria stirpe, senza tuttavia venir meno ai «doveri» e ai «compiti» ca-

ratteristici del proprio rango ecclesiastico: egli ha il dovere di governa-

re gli uomini ed, essendo chierico, ha il compito di inquadrarli dal pun-

to di vista ecclesiastico e religioso. Se il nobile-prelato, sia esso vescovo

titolare o vicario generale o vescovo ausiliare, è al vertice di una dioce-

si, dovrà governarla: non nel senso di rendere sacerdoti e fedeli cristia-

ni più padroni, culturalmente e spiritualmente, del messaggio cristiano,

bensì nel richiedere agli uni e agli altri di rispettare la «norma», di muo-

versi e agire in conformità con le linee e gli ambiti giuridici previsti dal-

l’ordinamento di Chiesa.

Si spiega così che in tre occasioni il vescovo Aimone di Romagnano

pubblichi statuti sinodali

64

e che ulteriori compilazioni statutarie – al-

cune a stampa – si debbano ai suoi successori Ludovico di Romagnano,

Giovanni Ludovico e Giovanni Francesco della Rovere

65

. Si spiega così

che la pratica delle visite pastorali alle chiese e agli enti religiosi, pur

senza poterne indicare la periodicità e l’intensità, non venga mai me-

no

66

. Si spiega così, non di meno, la relativa delusione che prende il let-

tore di statuti sinodali e atti di visita, quando si trova davanti a testi

monotamente ripetitivi. Ma lo studioso può, e deve, superare la delu-

sione in modo rapido e rendersi conto che quella monotonia ripetitiva

non è soltanto propria di tipi documentari quali la statuizione sinodale,

che nella ripetitività trova la sua ragion d’essere, e quali la redazione di

una visita pastorale, il cui obiettivo non è di capire

in astratto

e sul

pia-

no dei valori evangelici

i livelli di consapevolezza religiosa e di perfezio-

ne cristiana dei «visitati», bensì di accertare se i loro comportamenti

siano conformi alle leggi canoniche. Non è certo dai sacerdoti in cura

d’anime e dalla popolazione dei fedeli che si pretende una «cultura cri-

stiana» consapevole e operante: i sacerdoti devono celebrare con rego-

larità riti e sacramenti, i fedeli devono assistere agli uni e ricevere gli al-

tri nelle forme debite e nei tempi e luoghi opportuni.

I livelli superiori di religiosità devono essere espressi e sperimentati

da altri. Non è caso che nel Quattrocento i maestri, i laureati e gli stu-

denti di teologia dell’università di Torino appartengano pressoché nel-

Le istituzioni ecclesiastiche e la vita religiosa

789

64

Cfr.

g. briacca

,

I Decreti sinodali torinesi di Goffredo di Montanaro (a. 1270, a. 1286)

, Tori-

no 1985, p. 121.

65

Cfr.

bosio

,

Illustrazioni e documenti

cit., coll. 1629-42;

marra

,

Ricerche sulla storia

cit., p. 32.

66

dao

,

La Chiesa nel Saluzzese

cit., pp. 187 sgg., 229 sgg., 251 sgg.;

marra

,

Ricerche sulla sto-

ria

cit., pp. 180 sgg.