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IL SERVIZIO DISINFEZIONI IN TORINO ALLA FINE DEL

1500

Gli oggetti disinfettati, dopo essere stati maneg­

giati per il tempo conveniente da persone sane, erano

da «queste sole », cioè dalla squadra non infetta,

restituite ai singoli proprietari.

Ai monatti si portava il vitto sul luogo delle

disinfezioni per cura dei controllori, poiché così si

evitava che i disinfettatori perdessero tempo nel-

l’andarsi a comperare il cibo, non solo, ma per tal

modo si impediva ad essi di farsi involontari veicoli

di contagio, andando attorno per la città.

Alla sera, al suono della campana, i monatti dove­

vano recarsi a dormire in tre locali dianzi fissati,

posti vicino alla piazza della Cittadella, ed al mat­

tino, pure al «suono della campana »dovevano tro­

varsi al lavoro, pena la perdita della metà del loro

stipendio od altra arbitraria.

Qualora fossero trovati, di notte, fuori delle case,

loro assegnate per abitazione, incorrevano nella pena

«di morte irremissibilmente » ed ugual pena veniva

loro comminata se non avessero disinfettate conve­

nientemente le case.

Soldati di giustizia venivano comandati di guardia

attorno ai locali, adibiti a dormitorio dei disinfetta­

tori, coll’ordine di arrestare gli eventuali trasgres­

sori, sotto pena, per i soldati, di tre tratti di corda,

in caso di inadempienza.

Ultimata la disinfezione di un quartiere, lo si

faceva sbarrare e vi si impediva l’accesso alle per­

sone «brutte », visi sospetti d’infezioni. Era per­

messo esclusivamente ai sani l’abitarU. Questi però

non potevano aver rapporti con abitanti di altri

quartieri, nè fra loro, sotto pena di tre tratti di

corda od altra pecuniaria all’arbitrio del Magistrato

di Sanità.

Se, poi nel quartiere già disinfettato, si amma­

lasse qualcuno di peste, era prescritto l’immediato

ricovero dell’ammalato nel lazzaretto, posto fuori

della Città, ed una nuova disinfezione dell’alloggio

reinfettato.

Coac al Mcgnivano la disinfczioni

Colla stessa stregua della moderna tecnica delle

disinfezioni si divideva l’operazione in due tempi.

Il primo riguardava la disinfezione degli oggetti

d’uso personale e lettereci, ossia quella degli oggetti,

che si potevano disinfettare « per caldara ». Il secondo

tempo comprendeva la disinfezione dei «mobili di

sede », cioè quella delle pareti, dei pavimenti e del

mobilio in genere.

Precedeva la compilazione di un accu rato inven­

tario degli oggetti infetti, inventario, il quale veniva

fatto da un segretario, alla presenza del padrone

della casa o di un suo rappresentante, a cui si con­

cedeva di penetrare nelle stanze, insieme coi monatti,

soltanto se non fosse persona « sospetta », cioè che

già si fosse esposta altrim enti a l contagio.

Esaurita codesta parte burocratica della disin­

fezione, i monatti riunivano gli oggetti da disinfet­

tare «per caldara »e li trasportavano in una località

vicina alla chiesa di S. Dalmazzo, od in altri luoghi,

dove corresse l’acqua in abbondanza. Quivi accomo­

davano il maggior numero di caldaie possibile, oltre

a quella che era in dotazione a ciascuna squadra di

disinfettatori. Perciò le requisivano alle «confrarie »,

alla zecca, agli «affaitatori », ai tintori ed ai citta­

dini, abitanti nelle vicinanze. Nelle caldaie mette­

vano a bollire gli oggetti infetti, aggiungendovi al­

quanta cenere ed altri «ingrendienti », loro provvisti

dai sopraintendenti.

Dopo l’ebollizione consegnavano gli oggetti cosi

disinfettati alle lavandaie «nette », cioè a donne

sane, espressamente arruolate per il servizio di lavan­

deria, che dovevasi fare sul posto stesso dove si

eseguiva la disinfezione. Queste donne sottoponendo

al bucato gli oggetti ricevuti, li risciacquavano, li

facevano asciugare e, dopo, ne curavano il trasporto

alle singole case per mezzo di due carrette «nette »,

cioè, che non avessero servito per trasportare oggetti

infetti.

I.a restituzione degli oggetti disinfettati e lavati

si faceva col controllo dell’inventario, compilato in

precedenza dai segretari, e soltanto, quando fosse

ultimata la disinfezione della casa. Questa, coi mo­

bili che non erano disinfettabili «per caldara », si

disinfettava mediante i soffumigai «profumi » la cui

ricetta ci è stata tramandata dal medico Bartolomeo

Silvio.

Non era tuttavia sfuggita alla mente del Duca

e dei suoi consiglieri la possibilità dell’insufficienza

profilattica dei «profumi » nelle disinfezioni delle

abitazioni, sicché veniva ordinato che i mobili «dopo

che saranno parfumati » fossero messi all’aria ed al

sole «tanto che sarà necessario .... ». Non potevano

in seguito essere portate nella casa disinfettata se

non da «persona sana e netta »e sempre col «con­

trollo dell’inventario ».

In conclusione le misure prescritte, nel 1599, per

la disinfezione delle case variano di poco da quelle

attualmente osservate nei moderni servizi di profilassi

delle malattie infettive.

La stessa precisa e meticolosa procedura buro­

cratica per evitare contestazioni coi padroni degli

alloggi; lo stesso ordinamento del servizio, il cui per­

sonale e la cui dotazione di mezzi acconci è scrupo­

losamente separata nelle due squadre «infetta ■e

«non infetta»; l ’identico completamento del ser­

vizio di disinfezione cdla lavanderia, che ora tro­

vasi annessa alle stazioni di disinfezioni e coll’uguale

assegnazione delle lavandaie alla parte ■ non infetta •

di esse.

Erano sufficienti ed efficaci i mezzi per le disin­

fezioni?

Nel complesso dobbiamo rispondere affermati­

vamente.

L’ebollizione prolungata degli oggetti infetti di

bacilli della peste bubbonica, in una soluzione di

carbonato di sodio, poiché tale può considerarsi la

miscela di acqua e cenere, allora osata, dà sicura *

garanzia di disinleziooe. Lo confermano le note cape- ;