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ERNESTO RAGAZZONI

bevitore di stelle

Ritorna Ernesto Ragazzoni, bevitore di stelle,

dalle beate rive d’Eliso:

Le notti che non c ’i la luna,

le lucide notti d ’estate

che il cielo la terra importuna

col lampo d ’innumeri occhiate,

— occhiate di stelle! — e le cose

(che troppo si sentono addosso

le tante pupille curiose)

mal dormono un sonno commosso,

è allora che vengono fuori,

e, a un fiume che sanno, in pianelle,

s’avviano giù i bevitori

di stelle per bere le stelle,

le stelle piovute in riflessi

nell’acqua. Bocconi, alla scabra

si gittano, sponda, e sott’essi

han liquido un cielo alle labbra.

E bevono e bevono e dalla

profonda quiete del fiume

si vedon fiorire essi a galla

— offerto al lor giubilo — il lume

dei mondi lontani, e le ghiotte

sorsate s’affannano a bere,

nell’acqua ove nuota, la notte

il fosforo e l’or delle sfere.

E chi sono mai questi ingoiatoti di manicaretti

siderali, questi divoratori di Pleiadi, d’Jadi e d’Orse?

Le turbe beate son esse

di quelli che vivon di sogni,

d ’azzurro, di terre promesse,

di limbi siderei, d'ogni

castel che si dondola in aria,

di quei che le fate morgane,

richiaman con nuvola varia

e le principesse lontane.

Flemmatici Ulissi, argonauti

che insegne d’ostiere han per bussola,

o donchisciottini ben canti

impantofolati di mossola.

cosi piano piano, uno ad uno,

levatisi tardi da pranzo,

sen vanno — nel grado opportuno —

a beversi un po' di romanzo.

Non v ’è dubbio che, tra quei ghiottoni che bevono

a garganelle un così etereo infuso, anche Ernesto

Ragazzoni d sia, anche Lui gittato alla scabra sponda,

avido di gorgogliante liquido celeste, fino a che,

sazio, non si volga a chi lo guarda esclamando: Lo sai?

“ Nella testa

d ho già che n i gin la lana,,.

E con questo lunatico, che fu giornalista insigne,

conferenziere coltissimo, scrittore immaginoso e ricco,

vario e duttile di articoli che non si dimentican più,

che portavano un’impronta inequivocabile d’umo­

rismo spontaneo ed una varietà d’impressioni mira­

bili; il quale da Londra, da Parigi, dall'Affrica inviava

lettere, corrispondenze, prose fluenti, ricche di una

musicalità colorita; con questo amico dal cuore

dolce e buono per il quale la poesia era puro disin­

teresse pratico, lettori, che lo ricorderete se l’avete

conosciuto e l’amerete conoscendolo, sostiamo un

momento nei bizzarri sentieri della sua poesia.

• • *

Mentre gli articoli andavano verso il pubblico dei

giornali, in cui scrisse con abbondante facilità e vena

fresca fino all’ultimo, l’opera del poeta restò retaggio

dei pochi, degl’intimi e le sue liriche, unitamente

alle stupende traduzioni dal Pòe, raccolte da qualche

amico e dalla vedova, furono pubblicate, lui morto,

da un Editore torinese: il Chiantore, con presenta­

zione di Arrigo Cajumi.

«Le mie poesie — soleva dire — sono fatte per

me e per voi, gli amici. Che bisogno c’è del pubblico!

Il gran pubblico se n’è sempre strainfischiato della

poesia. Il pubblico a cui tengo siete voi... Gli " altri „?

Ma esistono degli “ altri „ interessanti? ».

Se qualcuno volesse definire o catalogare questo

un bizzarro e nostalgicomododi poetare non si rac­

capezzerebbe guari, di certo. Romantico a vent’anni,

e decadente, — meglio, simbolista — canta

VIsol*

del S ilenzio:

C’era una volta un’isola

arcana tra le rosse

acque d’un triste oceano

sperduta.. Non so più

j

sotto che latitudine

od in che mar si fosse,

ma credo dovess’essere,

al Sud, certo laggiù.....

.

perchè vi s’attorceano

come serpenti i nodi

delle nane e l’agih

palme salienti al del

tessendo onbce lunghinime

pd divi e per gii approdi,

ipargmnn attorno un bnlnno

di resina e di miei.