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IL SERVIZIO DISINFEZIONI IN TORINO ALLA F IN E DEL

1500

rienze di Donato Ottolenghi, le quali accertarono la

morte dei bacilli della peste in 10 minuti col calor

umido a 8o° C. Se la temperatura si eleva a ioo° C.

i bacilli pestosi muoiono quasi istantaneamente.

Orbene la soluzione di carbonato di sodio ha il suo

punto di ebollizione ad un grado superiore al ioo° C.,

variabile a seconda della sua concentrazione e, poiché

già nella liscivia di soda in concentrazione dell'i : 10

i bacilli della peste muoiono in pochi minuti, si deve

inferire che la vecchia disinfezione «per caldara »era

adeguata allo scopo.

Analoga osservazione può essere fatta per i mo­

bili esposti al sole, durante un tempo sufficiente-

mente lungo.

Lo stesso citato autore vide morire, in un’ora,

una coltura in brodo di bacilli pestosi, esposti alla

luce solare diretta, con temperatura di 30° C.

Se invece di brodi-coltura si esponevano al sole

pezzi di tela, di panno od altri oggetti imbrattati di

pus e di sangue pestoso, la morte dei baciUi si aveva

dopo sei, sette ore e talvolta occorrevano anche tre

giorni.

Ciò significa che, pure per i mobili, esposti al

sole durante parecchi giorni, la disinfezione era pres­

soché sicura.

Del tutto aleatoria invece, se non affatto insuffi­

ciente, era la disinfezione delle stanze. È risaputo

che non bastano i fumi acri dei suffumigi ad uccidere

i germi delle malattie infettive.

Ma per la disinfezione delle camere l’ordinanza

del Duca Carlo Emanuele aveva escogitato ed im­

posto un mezzo di controllo biologico veramente

straordinario.

' L’animale da esperimento era semplicemente....

l’uomo!

Si prescrisse che da luoghi vicini a Torino, im­

muni da peste, venissero reclutate, col compenso del

vitto gratuito e di un congruo stipendio, persone

sane, le quali dovevano andare ad abitare per «ven-

tidue » giorni nelle case disinfettate.

Codeste persone o «prove » erano prima sotto­

poste, nell’apposito lazzaretto, ad una quarantena,

sufficientemente lunga per dare garanzia della loro

ottima salute. Ultimata la quarantena, erano sotto­

poste al bagno generale, e subito dopo il bagno,

venivano rivestite di abiti nuovi. Successivamente

erano introdotte nella casa disinfettata, monito di

viveri bastevoli per l’intero periodo della prova. Ciò

per evitare che i ripetuti contatti coll’esterno, i quali

sarebbero stati inevitabili, se il vitto fosse stato for­

nito giornalmente, finissero per turbare la serietà

dell’esperimento.

Entrate che fossero nelle case, le «prove >dove­

vano non solo rimanervi, ma era loro fatto obbligo

di toccare e maneggiare tutti i mobili e gli utensili

casalinghi. Appositi delegati avevano l’incarico di

recarsi, di tanto in tanto, a controllare se dò si

facesse veramente.

Una guardia di soldati veniva posta attorno alle

case, dove erano state collocate le «prove »allo scopo

di impedir loro eventuali uscite ed il trafugamento

di oggetti o di mobili.

Per tutto il tempo della disinfezione generale

della Città e delle «prove susseguenti »era perento­

riamente vietato alle persone sane di penetrare nelle

case infette o sospette e di esportarne mobili od altro

ed alle persone sospette di penetrare nelle case disin­

fettate, sotto pena di tre tratti di corda o di altra

arbitraria del Magistrato di Sanità.

Nel dubbio, poi, che si celassero robe e cose, che

fossero state infettate, o si occultassero malati di

peste, sia pure già in via di guarigione o guariti del

tutto, si condonarono le pene che per tali fatti erano

state dianzi fissate, purché, senz’altro, malati o robe

0 case venissero denunciati al Magistrato di Sanità.

Questi ne avrebbe così potuto curare la bonifica e la

disinfezione nei modi consueti. Non ottemperandosi

all’ordine, si incorreva nella pena di morte e nella

confisca dei beni.

La metà delle sostanze confiscate era devoluta a

chi avesse informato l’Autorità sanitaria dell’occul­

tamento e della mancata denuncia.

L’intera ordinanza fu resa pubblica per mezzo di

«grida »«nei luoghi et modi soliti », per modo che

si dovesse ritenere valida, come se ognuno ne fosse

stato personalmente informato.

Ogni più lungo commento guasterebbe la

: a

e lucida esposizione degli ordinamenti emanati. Da

essa traspare la conoscenza quasi perfetta che gli

antichi nostri reggitori ebbero delle epidemie di peste,

del loro modo di diffondersi, del periodo di incuba­

zione, delle misure profilattiche adeguate per l’iso­

lamento dei malati e per le disinfezioni.

Purtroppo, a malgrado di esse, il contagio dila­

gava, spopolando l’Europa.

Il

fenomeno forse era dovuto, a prescindere

dalla possibile maggior virulenza del game specifico,

alle condizioni di pauperismo e di scarsa resistenza

organica che gran parte della popolazione offriva

all’infezione. Ciò veniva ancora aggravato dalle pes­

sime condizioni ambientali, in cui si viveva per l’ec­

cessivo affilamento delle case, poste in quartieri

costruiti e mantenuti senza la più lontana nozione

di quel che ora chiamiamo igiene del soolo e del­

l’abitato. Si ignorava inoltre la parte che nella diffu­

sione della epidemia hanno i topi e le palò, donde

nessuna misura contro di essi.

Ed il morbo si estendeva, imperversando, fra

l’altro, a cagione di questi veri e propri «untori»,

ignorati e numerosissimi....

Ha gli ordinamenti di Cario Emanuele I restano

documenti preziosissimi di efficaci misure profilat­

tiche, degne del virile spirito di Torino antica, ietto,

pratico, preciso e modesto, senza vanto, nè orgoglio,

quale fu sempre e come permane nella quadrata •

laboriosa gente subalpina.

D

ott

. PAOLO ALMASIO