

ERNESTO RAGAZZONI... BEVITORE DI STELLE
non dico pesò —, ma dopo, Egli riuscì ad ottenere,
per la sua poesia, le voci unicamente «sue », che
trasfuse anche in certi articoli musicali nella forma
e nell’idea, articoli che son dei veri poemetti in prosa
della più bella fattura e che è un vero peccato non
si possano più rintracciare. E la
maniera
ch’Egli si
creò morì con Lui. L’arte sua di scrittore, con Lui
è scomparsa ed inutilmente si cercherebbe d’imitarla.
* * *
Quante volte avrebbe potuto pubblicare i suoi
versi? Anche in tempi in cui, vivendo dei veri poeti,
ognuno che alle Muse sacrificasse si teneva più ac
corto nelle pubbliche manifestazioni?
«Pubblicare i miei versi? E perchè? Io non tro
verei un editore... E poi, lasciamo andare, a me i
versi miei piace cantarmeli e godermeli in segreto! ».
Talvolta in un cerchio d’amici — Metzger, Ra-
zetti, Zanzi, Corvetto, Bassi, Chiesa, Tarizzo, il sot
toscritto — si levava una voce:
«Ragazzoni, l’Affrica... ».
Ed Egli sorridendo ironico e bonario — bonarietà
ed ironia erano i suoi modi spirituali più accentuati
— incominciava:
Vi dirò dunque dell’Affrica.
«Vi dirò dunque dell’Affrica ».
Un moto di curiosità e di sottile godimento spi
rituale si faceva:
L ’ibi, il tropico del Canchero,
l’Equatore, l'Atnba rasa,
sono là come di casa,
con il ghibli. il Congo, Assab,
col cammello, con il dattero
e la tanto celebrata
adansonia digitata
che sarebbe il baobab.
Sono là là, e. tartufolo
minerale, c'è il diamante,
c'è la pulce penetrante
e la ria mosca tzè-tzè.
Ed è là che, a volte, capita
di veder tra arbusto e arbusto
quel pulcino d ’alto fusto
che lo struzzo è detto ed è.
Egli viveva la frase canora. Elaboratore lento,
paziente, instancabile, diciamo pure insaziabile, la
parola prima, il verso poi, avevano una vita inte
riore talora di anni interi: Facile sembrava la sua
strofa:
Anima mia. rammenti? DalTombre d’oggi illusa,
questo non ti riporta ai raggi dei di lieti?
Oh che non ci fioriano in cor tutti i roseti
ai tempi in cui a zuffa con l’algebra confusa,
sui banchi imparavamo, monelli irrequieti,
cbe il quadrato costrutto sopra l’ipotenusa
è la somma di quelli fatti sui due cateti.
Ma quanto costavano quei versi! Poeta d’anima,
come prosatore abbondante e ricco, ai più sarebbe
potuto sembrare che il dare forma scritta ai fantasmi
della mente, fosse per Lui la cosa più semplice del
mondo. Errore. La sua era una lotta contro la
faci
lità
dell’espressione. Essere originale non voleva dire
soltanto pensare o comporre in una forma d’eleganza
o d'arte diversa; voleva dire trarre dal vivo cuore
un’essenza armoniosa incomposta ed increata e chiu
dere nel castone d’una strofa purissima una musicale
collana di arcane parole:
Ai suoi morbidi riccioli biondi
vorrei cingere un laccio di perle:
ed al picciolo piè far caderle
tanti fior che nei fior le si affondi.
E vorrei, quanto al mondo più avanza
in candor le magnolie ed i gigli,
tutti i fior degli aranci e dei tigli,
tutta un’intima e pura fragranza.
Perchè «Virgo Mirabilis » Ella,
nel superbo avatar d ’ogni cosa,
abbia il raggio che manca alla rosa
e l’olezzo che manca alla stella.
E si bianca Ella è tutta e si lieve
che talora mi turbina il folle
desiderio di svolgere molle
ai suoi passi un tappeto di neve.
Fin qui la poesia è musica e meraviglia di suoni,
ma infine, pur nella preziosa bellezza della frase e
della rima, nulla è se non il commosso desiderio
d’un poeta, quale altri hanno espresso con pari
efficacia se pur con minore musicalità. L'originalità
bizzarra, la trasposizione arguta, prende improvvi
samente l’avvìo allo scrittore che, quasi a scusarsi
del madrigale troppo compassato, sbotta fuori in
uno scherzo lieve:
Una neve che tiepida sia;
e per Lei la corrò sulla falda
dei vulcani... Oh una neve un po' calda
troverò che qualch'Etna mi dia?
E trovarle saprò, non mai stanco
di adunarLe i candori più casti,
tanto zucchero, tanto che basti
il caffè ch’ElIa beve, far bianco?
Taluno volle vedere in Ernesto Ragazzoni niente
altro che eccentricità. Errore. Anche le sue eccentri
cità, per modo di dire, avevano una ragione. Deri
vavano dall’odio del borghesume e dell’arte mediocre.
La mediocrità era il suo terrore. Egli detestava la
mentalità comune e volgare, soprattutto quando
s’impanca a dettar legge in cose che non sono alla
sua portata, cioè la bellezza, il sogno.
Dotato di una cocente abilità satirica e beffarda
non risparmiava nessun atteggiamento e lanciava
apertamente le sue frecce, giocandosi i posti come