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FACOLTÀ E PROFESSORI NEI PRIMI SECOLI DELLO

"

STUDIO TORINESE

su che cosa volesse significare. Illustrazioni del tempo:

il ( agnolo ed il Bava, nel diritto civile; lo Scoto ed

il Viotti rispettivamente nella medicina e nella chi­

rurgia. Tutti questi professori costavano al Duca

Carlo quattromila trecento fiorini l’anno, dei quali

settecento toccavano al Cagnolo, maestro di jus ci­

vile... e venticinque ad un povero assistente della

stessa Facoltà che spartiva il pane del sapere agli

svogliati studenti, nelle ore tarde del pomeriggio;

quando frullavan nelle menti dei giovani più che le

pandette, le burle e le canzoni:

Esce il mattino a bruzzico

la rustica donzella

col suo gregge, col pungolo,

con la luna novella.

E il gregge va; c ’è l’asina

insiem con l’agnelletto,

c ’è la mucca e il suo piccolo

la capra ed il capretto.

Quand’ecco, in un cespuglio

incontra uno scolare:

tChe fai, grida, o bel giovine?

Vieni meco a scherzare » (i).

Che s’insegnasse bene, nello Studio torinese, lo

si può arguire dal fatto che molti stranieri venivano

a studiare ed a laurearsi; citiamo fra tutti, in anni

di poco lontani dal 15 3 4 — e cioè nel settembre

del 1506, il giorno 4 — , Erasmo da Rotterdam, il

filosofo

dell’Elogio della Pazzia,

del

Bene della Pace

e del

Disprezzo del Mondo,

ed il tedesco Tommaso

Redd, che si addottorarono « in utroque » nel nostro

Studio.

Nel 15 7 1 — trentasei anni dopo — le cattedre

salgono a trentacinque: due di teologia, due di jus

canonico, quattro di diritto civile, due d ’istituzioni,

due di diritto penale, una di diritto feudale, una del-

l’autentiche, una dei tre ultimi libri del Codice, una

di arte notarile, nonché quattro straordinari di

leggi. Aumenta pure il numero delle cattedre per la

medicina: la teorica ha due maestri, due la pratica,

una per ciascuna l’anatomia e la botanica. Oltre a

questi docenti eravi un almansorista o preparatore.

Fa capolino la Facoltà di lettere e scienze che com­

prende: due maestri di filosofia, due di logica, uno di

metafìsica, uno di matematica ed uno di umanità

latina, ch’era un Gesuita ed insegnava nel suo collegio.

I

massimi stipendi toccavano al Plautio ed al

Pancirolo compensati con settecento scudi d’oro cia­

scuno, mentre quattrocento toccavano a Leucilio

Filateo, maestro di teorica medica, venticinque scudi

annui eran pagati a due poveracci di Vaudo « exstra­

ordinario » e Riccardo « concorrente »... Minimi com­

pensi, se non si vuole annoverare tra gli universitari

il campanaro, che figura tra gli

officiali delli studi,

colla ricca prebenda di 10 scudi annui... che per

suonar la campana eran stimati più che sufficienti.

Nel 1628 i professori ridiscendono a 26. Lo Studio

ha subito un non lieve tracollo dovuto allo sbagliato

(1) Dai

Conti i t i gotta**

tradotti da Corrado Corredino.

metodo dell’insegnamento ed alla mancanza di pro­

fessori valorosi. Il massimo compenso va al Bez-

zequio, pratico ordinario di filosofìa, che ha mille

scudi all’anno di onorario, mentre al Biancardi e al

Nomis, leggisti ordinari, vengono assegnati rispetti­

vamente ottocento e settecento scudi caduno.

Nel 1689 c ’è rumor di guerra. Marte è stato

sempre nimicissimo delle Muse e, nei tempi in cui

l’armi strepitarono, decaddero gli studi; i lettori

dello Studio torinese si riducono a diciassette, dei

quali sette per la giurisprudenza e dieci per la chi­

rurgia e la medicina. Di lettere non era il caso di

parlarne, nè di matematiche. L ’esiguità del numero

veniva però compensata dal valore di taluno tra i

professori. • Primo fra questi il Panealbo di Torino,

lettore di ragion canonica, reputato a quei tempi lo

splendore dell’Università. Si deve a Lui la pubblica­

zione delle

Iscrizioni latine

del suo amico Emmanuele

Thesauro. Valentissimo era pure ritenuto il francese

Celestino Mirbel, eruditissimo in tutte le parti del

diritto e autore di alcune pregevoli opere di varia

letteratura. Un certo interesse destò pure il Torrini,

medico di qualche fama, che illustrò il suo nome con

molti lavori. Tanto al Panealbo quanto al ^ - ^ 'n i

toccano i massimi stipendi di 900 fiorini annui. L a il

campanaro aumenta di soldo e d ’importanza: vien

pagato con ben 87 fiorini. Una bazza!

Nel 170 1, in mezzo al fragor delle schioppettate,

non si cessa di assegnare qualche laurea, ma l’Uni-

versità deperisce in tal misura da minacciar la morte

ad ogni piè sospinto. Diciassette sono le cattedre ed

affidate a mediocri docenti come il presidente Fri-

chignono, uomo di scarso valore, od il Rocci me­

diocre canonista. Si salvava da questo mazzo di

nullità il protomedico Torrini, come già dicemmo,

buon praticante e discreto teorico. Ma lo Studio

languiva e finiva per scadere d ’ogni importanza.

Conchiusasi vittoriosamente la guerra, Vittorio

Amedeo II — tra le molte provvidenze che si rife­

riscono alla sua alta figura di Guerriero, di Sovrano,

di Statista — pensò di ridar splendore allo Studio.

L ’Università di Torino aveva allora una sede

indegna di tanto nome; era situata cioè in una stretta

via degli antichi quartieri della città, di fronte alla

chiesa di San Rocco. Le sale dell’Arcivescovado, la

chiesa del Corpus Domini e quella di San Paolo ser­

vivano generalmente per le adunanze dei collegi e

le pubbliche funzioni. Vittorio Amedeo pensò d ’in­

nalzare una sede più degna per un Istituto cui voleva

giustamente legare il suo nome, ed ecco sorgere il

bel palazzo di via Po, dovuto all’architetto geno­

vese Giovanni Antonio Ricca.

Nel 1720 lo Studio completò il suo corpo di do*

centi con un’accolta d’insigni personalità. Vennero

cioè chiamati ad insegnare filosofia Hnp a t ì » il mal­

tese Francesco Bendili, già maestro di tal materia

per trent’anni al collegio romano « De Propaganda

Fide»; sacra scrittura e lingua ebraica il celebre

Pasini, cui venne assegnato

— «

tomi uigmm tomt

konneur

— la somma di 2300 lire annue di stipendio.