

TOR I NO AI T E M P I D E L V I C A R I A T O
Q
uando il Duca Carlo Emanuele III aveva lasciata
piena giurisdizione al Vicariato ed i tribunali
erano stati nettamente divisi, malgrado le opposi
zioni del ministro Conte Lorenzo Giambattista Bo-
gino, il nostro palazzo Municipale aveva assunta
una grande importanza. Nel cortile, al lato destro
erano situati gli uffici del Tribunale, delle Giudi
cature Civili e Criminali, e sopra di essi, l’ufficio
del Consolato che riguardava le cause commerciali.
Sul lato sinistro era collocato l’Ufficio del Vica
riato; mentre, in fondo al cortile, si trovava l’Ar
chivio comune delle Scritture ed Insinuazioni
pubbliche e la Spezieria Comune in cui servivano i
clienti tre giovani di morali costumi e periti nel
l’arte farmaceutica, che avevano il seccante obbligo
particolare di portarsi alle case dei poveri per l’im
posizione dei clisteri quando ve ne fosse bisogno.
La Spezieria Comune, era stata fondata per i
bisognosi della Città fin dal 1600, e perchè non man
cassero ai poveri quelle cure e quei riguardi che in
ogni infermità dovevano essere usati dai medici;
il municipio stipendiava 10 dotti in medicina e 9
esperti in chirurgia.
Nell’ingresso del Palazzo, erano fisse nel muro
le misure che allora si usavano nella Città e nel terri
torio, e cioè: il trabucco che serviva a misurare
le muraglie e i terreni di campagna, e il raso, per
la misura dei panni, della tela e delle stoffe. Il Pa
lazzo municipale era in quei tempi il fulcro dell’atti
vità torinese e le viuzze adiacenti erano frequenta
tissime.
Sostava nelle vicinanze qualche mendicante,
pronto a squagliarsi appena vedeva apparire il cap
pello a tre punte del Cavaliere di Giustizia, a cui
spettava il compito di liberare la città dalla piaga
sempre più dilagante della mendicità; qualche can
tore delle canzoncine di Padre Isler, molto in voga
a quei tempi, ed imbastite su motivi che venivano
di Francia, che sperava nella generosità dei borghesi
che s’afirettavano verso i Tribunali o si recavano
al Vicariato per sollecitarvi qualche pratica o qualche
permesso speciale. Il Cavaliere di Giustizia faceva
ogni mattina il suo giro d’ispezione per assicurarsi
che i padroni dei negozi avessero provveduto a
spazzare il suolo adiacente alle loro botteghe, disposto
a dare una multa di parecchie fogliette quando non
vi avessero ottemperato. Succedevano talora sce
nette graziose che venivano subito troncate dal
l’arrivo di qualche guardia vicariale severa e digni
tosa nella sua divisa elegante, tutta tempestata sul
petto di cordoncini che s’aggrappavano agli alamari
bianchi, in piena armonia colle festuche che orna
vano il cappello alla ussera. In piazza non manca
vano i venditori di passaggio, e sovente risuonava
con monotonia persistente il grido: «
Asii! Asti!
Vasili!
» lanciato da una figura strana che il Pie-
tracqua ha resa popolare in uno dei suoi romanzi:
Don Pipeta Vasili.
Quando questo buon popolano, di cui non si
trovano nelle cronache molte traccie, passava invi
tando col suo richiamo le donne a scendere dai
cantoni San Giorgio, Corpus Domini, Macelli, appa
rivano le comari e le fanti, con botticelle, con bocca
letti per provvedersi da «Don Pipeta » dell’aceto
che si voleva venisse dalla vecchia osteria di via
delle Some. Il nostro venditore chiacchierando del
più e del meno, l’eterna pipetta nera in bocca, apriva
il rubinetto arrugginito della botticella che recava
sulle spalle ed empiva man mano i recipienti che
gli venivano sporti dalle comari; poi se ne andava
ripetendo il suo grido.
Transitavano in piazza di Città i venditori di
scapolari e di sacre immagini, ed i cantastorie che
illustravano con voce stentorea la vita dei Santi,
dipinta a vivaci colori su grandi cartelloni affissi
ad ima graticola smisurata in legno greggio.
C’era sempre, specialmente nelle ora vespertine,
un andirivieni di guardie del vicariato e talvolta
al tramonto, fra due ali di popolo che s’inchinava
rispettosamente, passava il Vicario trascinando un
gran manto di velluto nero, guemito al di dentro in
seta rossa, con gran braconi, sottana corta di seta
nera, lungo collare, spada al fianco, fiocchi d’oro al
cappello.
Sorrideva alla folla che k> salutava col massimo
rispetto, con indulgenza e benignità, come chi è
conscio della carica eminente che gli è stata affidata.
Generalmente si accompagnava con qualche cava
liere del Vicariato che standogli al fianco gli dava
ampi ragguagli sui fatti più salienti accaduti in
giornata. Nel pomeriggio, qualche fantesca attra
versava la piazza di Città per recarsi in Cantone
Macelli, e allora qualche guardia Vicariale, avo*
gliata dagli sguardi assassini e dalla civetteria ancil
lare, si accostava alla ragazza per dille parolette
dolci, nomignoli die ai nostri tempi hanno molto
perduto del loro sapore:
Strmfógmn, ratóin, gioia
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