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Cinquanta “Cittadine,, Torinesi nell’anno XI

della Repubblica (1800)

N

ell’anno XI° della Repubblica (1800) il Pie­

monte era puramente e semplicemente il ter­

ritorio della 27* Divisione Militare francese. Un

«cittadino »interrogò un «gros bonnet », incontrato

in un ballo, su quali egli ritenesse le donne colte

della sua circoscrizione, e ne ebbe questa risposta:

« Il

y

a un nombre des femmes qui s’empressent de

se faire connaitre coquettes et intrigantes; je ne

saurais nommer ime seule qui mérite la réputation

de femme savante et eclairée ». Al «cittadino »parve

esagerata questa soldatesca prosopopea; richiamò

alla mente le donne gentili e colte che egli frequen­

tava, si informò più esaurientemente delle altre e

pubblicò un libro a difesa delle donne subalpine.

Ma prudentemente, non fidandosi troppo della

«liberté », non solo mantenne l’anonimo, chiamandosi

«Un filantropo subalpino », ma intitolò «

L'arte di

conservare ed accrescere la bellezza delle donne

» il

libro che pubblicò presso

M

ic h e l a n g e l o

M

o r a n o

,

mercante libraio tra San Rocco e San Francesco.

Mi avvenne perciò che, avendo consultato questo

libro, ormai raro, ritenendo dal titolo che si occu­

passe di trattamenti fìsici della bellezza quali erano

in uso un secolo e mezzo fa, mi imbattei invece in

questa refutazione alla boriosa «suffisance »del gal­

lonato francese. Essa però neppure costituiva l’os­

satura dell’opera, ma era insinuata nel corpo di una

trattazione morale, • come un cannone nascosto tra

i fiori ». Così diceva Schumann delle ballate di

Chopin.

Una rassegna di questo libello anonimo, il quale

a differenza dei confratelli non schizza livore ma

spande elogi ed ammirazione, forse in modo fin

troppo prodigo, potrà interessare i nostri lettori.

Abbiamo abbondato a citare i nomi di parecchie

«cittadine », anche se figure non di primo e nep­

pure di secondo piano, perchè potrebbe accadere

che in esse qualche tardo nipote ritrovi un’ava

lontana, obliata nei ricordi di famiglia, oppur qualche

volta evocata come una piccola gloria genealogica.

E rispettiamo dunque la prudente intenzione del­

l’autore, menando il can per l'aia attraverso ad

alcuni consigli filosofici ed etici i quali sviluppano

la teoria che il miglior modo di conservare la bellezza

è la pratica delle virtù teologali e dei doveri civici.

Si, anche di questi aitimi! Perchè il « filantropo

subalpino » nel suo probabilmente forzato lealismo,

in una specie di testamento di XXII paragrafi che

chiude il libro, elenca, fra gli altri, questi precetti:

«Rispettare il Governo », e poiché è di moda essere

Giacobino, aggiunge: «E nessun prete per casa! ».

Lo schema da lui adottato è quello di passare

in rassegna le virtù morali e per ciascuna non indi­

care persone che vi abbiano mancato, il chè avrebbe

potuto costituire un pettegolezzo interessante, ma

presentare donne che fioriscano in grazia ed in pre­

stigio muliebre per la pratica di esse.

All’opposto di Félicien Arvers, il poeta che ci

ha lasciato uno dei sonetti più squisiti della lette­

ratura mondiale, dedicandolo ad ima bella Parigina

di cui neppure oggi si è ancora riesciti ad individuare

la personalità, il nostro scrittore mantiene per sè

l’anonimo e mette bene in vista la dedica «alla

ornatissima cittadina

T

er e s a

S

pan zo tt i

nata

C

a p i

­

tolo

». Tale donna merita bene l’onore perchè, come

le afferma l ’incognito ammiratore: «quante che per

ragione di età potrebbero esservi figlie, innanzi a voi

vostre nonne appariscono! ».

Non mancano neppure quattro versi di dedica

che hanno un sapore da libretto di melodramma e

fanno pensare ad un Metastasio di seconda mano:

Care donne, serberete

Per molt’anni la beltà

Se quest’arte apprenderete

Nella fresca vostra età.

Ma di grazia, non volate

Per apprenderla

a

dover

E per ordin seguitate

Non a salti i miei pensier.

Altra caratteristica significativa è il fatto che,

soppressi i titoli nobiliari, le dame che ad essi ave­

vano diritto compaiono ortodossamente con la qua­

lifica di «cittadine », ma sempre scrupolosamente

con il titolo, che la particella

ex

che k> precede

non fa che mettere in maggior evidenza.

Però nei privati salotti, i titoli di «contessa,

marchesa, baronessa » sono profusi più largamente

di prima. La servitù ha l'ordine, quasi a risarci­

mento dell’orgoglio ferito, di usarne con la più

grande prodigalità, e le titolari stesse, anche nelle

confidenziali relazioni di famiglia e di amicizia,

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