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TORINO AI TEMPI DEL VICARIATO

E quando la notte era scesa, la conclusione di

tutto l’armeggio, avveniva quasi sempre nelle vici­

nanze del Bastione di Santa Adelaide o di S. Laz­

zaro, che facevano parte della Porta di Po, mentre

il

fiume mormorava fra le alberate la consueta calma

canzone. Le osterie che erano nelle vicinanze, ospi­

tavano spesso gli sbirri e le guardie del

V icario,

e

anche quelle del Duca che nelle ore di libertà, ama­

vano trincare e dir male dei loro nuovi padroni.

Appena si suonava l’Ave Maria, per consuetu­

dine si accendevano due ceri davanti alla porta del

Palazzo municipale, e la Piazza da quel momento

cominciava ad avvolgersi in una tristezza che nulla

valeva a dissipare.

Poche ore dopo, s’iniziava il coprifuoco e Torino

appariva morta, perchè tanta gente non osava avven­

turarsi per la strada nel timore di imbattersi in

qualche malandrino, e c'erano restrizioni speciali per

fornirsi di lumi, considerato che l’illuminazione in

certi cantoni era affatto trascurata.

I

ragazzi amavano, come quelli di ogni tempo,

prendere come centro di bersaglio i vetri dei lam­

pioni, e allora Carlo Emanuele III emetteva un

decreto terrìbile contro chiunque fosse stato sor­

preso nell’atto di scagliare una pietra contro un

povero innocuo fanale. I poveri sorpresi in fallo,

erano consegnati ad agenti speciali incaricati di

somministrare loro non meno di dieci buone ver­

gate; mentre se questo accadeva a qualche adulto,

gli veniva intimata una multa di quindici piastre

d’oro oppure qualche mese di prigione.

Ogni notte, accompagnati da qualche guardia

vicariale e muniti di lanterne, i parroci andavano

in giro per la città per arrestare ladri e farabutti

che appartenessero alla parrocchia a cui erano

addetti. Talora si limitavano ad un predicozzo,

colla speranza che l’indulgenza ed il perdono aves­

sero sull'animo del delinquente una grande influenza;

ma quando avevano a fare con gente che era stata

sorpresa più di una volta, veniva senz’altro abban­

donata alla discrezione degli sbirri.

Mentre nelle vie più lontane accadevano queste

curiose catture che trasformavano addirittura i par­

roci in agenti di sicurezza, nel centro della città

transitavano con grande apparato di seguito e di

torde gli invitati al ballo, o ad una delle feste ducali,

di cui si compiaceva Carlo Emanuele III.

Questo Principe che non era di costituzione fisica

motto robusta, aveva però in più occasioni dimo­

strato di possedere una testa solida e un predominio

assoluto sui suoi nervi Non sono da notarsi durante

il suo regno opere d’arte veramente cospicue; ma

contro i Francesi e contro gii Spagnooli, che tenta­

rono con ogni mezzo di avere voce in capitolo durante

il suo governo, dimostrò una singolare tenacia, una

costanza esemplare, e diede alto esempio di saper

comportarsi da vero Savoia quando mosse all’as­

sedio di Asti e a quello di Nizza.

A raggerà le sorti dd Piemonte aveva chiamato

al suo fianco

v i

grande ministro: fl Conte Loranao

Giambattista Bogino, statista insigne, edotto in cose

di guerra e artista nell’anima. Giambattista Bogino,

malvisto dalla nobiltà perchè non badava a punire

e segnalarne gli atti criminosi, e non troppo benevol­

mente sopportato dal governo Vicariale, dimenti­

cava spesso le noie e i pettegolezzi della Corte per

recarsi a visitare i pittori più in voga del suo tempo

che erano allora parecchi.

Alle feste del Duca assisteva sempre una larga

rappresentanza di artisti, fra cui primeggiava Beau-

mont, che da lui prediletto, venne insignito di ono­

rificenze e nominato pittore di Corte.

Al teatro Regio invece, imperava come sceno­

grafo Bernardino Galliari che negli spettacoli di

quel tempo sfoggiava qualità artistiche ed anche

architettoniche di prim‘ordine.

L’unico neo, era quello del Vicariato, a cui Carlo

Emanuele aveva lasciata indubbiamente troppa li­

bertà di giurisdizione.

Era stato un pensiero dd Vicariato quello di

rinchiudere le disgraziate peripatetiche dietro ad un

grande stecconato, perchè non passeggiassero per le

vie di Torino in cerca di merli.

Le donne che di notte usavano di casa e s’affac­

ciavano alla barriera di legno facilmente sormonta­

bile; ma per i regolamenti vigenti, d i ^ ’^sima a

varcarsi, erano munite di lunghissime sciai yc d’ogni

colore a seconda del capricdo di chi le portava, ed

era con queste sciarpe che le disgraziate dovevano

prendere al lacdo quelli che per curiosità o per mor­

bosità passavano in via Bq/j^a di Ferro, ora Bertola.

Qualcuna portava lo scialle munito in fondo di

due fasde lunghissime e quando un viandante le

rivolgeva una parola amichevole,la donna cominciava

a manovrare di sciarpa con abilità, sino a che non

riusciva ad allacciare per la vita o pd collo la vittima

designata.

Quando il landò era riusdto, allora si parla­

mentava. Le guardie vicariali fingevano di non accor­

gersi, e quelle Ducali, si soffermavano a rìderne,

ascoltando gli strani discorsi che si facevano attra­

verso lo steccato.

Era certamente questa una fra le poche distra­

zioni che veniva concessa ai popolani senza che

avvenissero sorprese o rimostranze, perchè anche

quando i dienti erano in molti a farsi accalappiare,

le guardie stesse ne facevano le più matte risate,

se pure... non accadeva che il laccio accompagnato

da un lusinghiero sorriso, strìngesse al collo qualche

guardia!

Le cerimonie della Chiesa erano col Vicariato,

tornate all'antico splendore; celebre fra tutte quella

dd Corpus Domini a cui prendevano parte il Vicario,

il suo seguito, le numerose guardie e l'abbondante

numero di segretari, impiegati, amministratori dd

Tribunale ecclesiastico e tutto il piccolo mondo di

funzionari addetti ai numerosi uffici.

I

n a ti Tebei, Avventore ed Ottavio, chiamati

comunemente i Santi Martiri, erano i patroni di