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ESPOSIZIONE 1884 E CSOTRUZIONE BORGO MEDIOEVALE

La proposta riflettente la Rocca fu trattata nel­

l’assemblea consigliare del 6 febbraio '84. Aprì la

breve discussione il consigliere Pacchiotti, che elogiò

•«l’esempio di generosità e zelo dato dagli artisti

piemontesi in così nobile opera, svolta senza badare

a fatiche, senza rimunerazione, senza speranze ».

(ìiusto, egli soggiunse, « che una voce si levasse in

Consiglio a ringraziarli ». L ’on. Villa, a nome della

Commissione, manifestandosi grato al Pacchiotti,

prospettò che « se qualcosa poteva addolorare quegli

eletti ingegni era il pensiero che l'opera loro dovesse

inesorabilmente distruggersi. Il miglior compenso da

offrire sarebbe stato il voto del Consiglio per la con­

servazione ». Un consigliere avanzò dubbi sulla soli­

dità dei fabbricati, invocando, per accertarsene, una

perizia tecnica; ma desistè dall’idea non appena gli

fu risposto che aveva probabilmente scambiato « le

case del Villaggio — regolarmente fondate e co­

strutte — con qualche edifizio dell'Esposizione ».

Interloquirono tre altri oratori, poi, per alzata e

seduta, la proposta della Giunta fu approvata al­

l’unanimità.

Restava da definire la questione del Borgo, uonchè

delle porte e mobili del Castello, e la Giunta, interes­

sandosene in seduta del 15 maggio, riconosceva, a

proposito degli arredi, trattarsi di cose perfette nei

loro genere, «diffìcili da sostituire anche con una

spesa di molto superiore a quella proposta e non

passibile di riduzione », mentre, per il Villaggio,

rammentava che « fu compiuto nel concetto di do­

versi, almeno in gran parte, conservare non solo

come perenne ricordo dell’Esposizione, ma altresì

come importante documento per la storia deU’Arte

in Piemonte ». Risolse quindi di proporre al Con­

siglio l’approvazione anche di questa seconda parte

dell’acquisto per la somma di L. 50.000 da inscri­

versi nel bilancio 1885 insieme con le 50.000 già

deliberate. Il Consiglio, riunito il 2 giugno, previa

lettura di un inventcrio di quanto trovavasi nella

Rocca, diè il propri») voto favorevole, all’unanimità

per l’acquisto dei mobili, a grandissima maggioranza

per il Villaggio.

Non era finita. Oltre quelli compresi nell’acquisto,

molti altri mobili v erano nel Castello, i quali ne

formavano stupendo indispensabile ornamento ed

appartenevano a espositori o a istituti che li avevano

concessi in prestito per la durata della Mostra. Pri­

varne le sale avrebbe significato impoverirle; farne

eseguire copie sarebbe stato arduo e dispendioso.

(

1

) Per l’occasione i componenti la Commissione Storia

deU'Arte si riunirono a banchetto nel ristorante Olimpo,

al Ponte Isabella. Un grazioso cartoncino, con fregi, figure

e caratteri quattrocenteschi disegnò Casimiro Teja, che.

caricaturista al

Pasquino,

non mancò naturalmente d'in­

fiorare la distinta dei cibi con termini faceti e scherzose

allusioni.

(i) Il D’Andrade avrebbe voluto battezzare il Villaggio

Ripanova di Po.

e il Giacosa, in un suo articolo sul *Figaro »,

chiamava la Rocca:

Cestello di Ripanova di Po.

L’idea fu

poi abbandonata e, nell’uso, si adottò la semplice designa­

zione di

Borgo Medievale.

(

3

) Una conferenza avrebbe pur dovuto tenervi Giosuè

Il Municipio avviò un attivo carteggio coi singoli

proprietari, invitandoli a comunicare il prezzo per

la cessione Sedici degli interpellati, con encomiabile

gesto, risposero che facevano dono degli oggetti alla

città di Torino. Di proprietà del Ministero della

Guerra, tolte dal locale Arsenale, erano alabarde,

spade, elmi, balestre, argani e altre armi poste nel

camerone dei soldati. Il Sindaco, in data 23 no­

vembre '84, scrisse al Ministero, domandandogli che

tali cimeli potessero continuare ad esser esposti:

s’impegnava, la Civica Amministrazione, di « con­

servarli con tutte le dovute cautele ». Qualche set­

timana dopo il Ministro rispose che cedeva « defini­

tivamente e gratuitamente » le armi al nostro Muni­

cipio, impartendo conforme disposizione al Comando

Territoriale d’Artiglieria.

Non pochi arredi, però, rimanevano per i quali

si doveva procedere all’inevitabile acquisto. Dap­

prima, in base alle richieste di chi li aveva eseguiti,

risultò un valore globale di quarantamila lire. Av­

viate serie trattative — ed anche per l’arrendevo­

lezza dei proprietari — la cifra potè ridursi a tredici­

mila. La Giunta, convocata nel dicembre, dava

parere favorevole a questo supplemento di spesa e

il Consiglio, nella successiva seduta, l’approvava.

In complesso, il Borgo costò così al Comune

113.000 lire, somma che non tardò a reintegrarsi e

che, già dieci anni or sono, aveva fruttato assai più

del doppio.

Dal 13 dicembre '84 a tutto il 1924 i visitatori

— reca il Carandini — erano stati 501.427 a paga­

mento; 47.464 i gratuiti. Gli introiti per tessere

d’ingresso ammontarono a lire 279.774,50; per affit­

tanze nel Borgo e cespiti diversi lire 130.675,10.

Totale incassi, in quarantanni lire 410.449,60

• * *

Nel mastio della Rocca, a pian terreno, verso

l’angolo nord, sulla tavola di bronzo fatta murare

dal Municipio — a ricordo della decretata conserva­

zione — lo stesso anno 1884, si legge che « questo

monumento » è « eretto a rivelare il fastigio dell’arte

subalpina nel Medioevo ». Esatto. Il nostro quattro-

cento cavalleresco rivive lì dentro con ciò che ha di

più tipico, solenne, splendido e immaginoso. E,

quanto all’evocazione ambientale, poche volte, come

qui, per la gioia degli occhi, senza alterazione del

vero, si è pervenuti a toccare il colmo deU’illusione.

CARLO MERL1NI

Carducci, anch'egli invitato dalla Sezione Storia deU'Arte,

ma, in previsione deU'enonne affluenza di pubblico, anziché

nel troppo ristretto cortile si preferì farlo parlare nel vasto

salone dei concerti.

(

4

)

L'osteria di S. Giorgio, rammenta il Carandini, era

esercita da uno svizzero, il Sottaz, espressamente chiamato

dalla Commissione, la quale aveva provveduto a cercare

«gli assuntori delle botteghe che funzionarono nel periodo

della Mostra ». Da Trino venne il fabbro, da Ribordone il

ramaio. Genova e Faenza dettero i vasai. V'erano inoltre

il falegname, il fruttivendolo, la tessitrice. La farmacia,

all’insegna di San Simone, era condotta dal torinese Ca­

millo Tacconis.

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