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LA MOLE ANTONE H I AN A ED I L SUO ARCHITETTO

sacro Tempio, a compensare l’eccessiva depressione

del suolo su cui insiste l’edifìcio e pur anco a soddi­

sfare le visuali prospettiche limitate dalle case che

lo circondano ».

* * *

Il viaggiatore vi arriva talvolta frettoloso in car­

rozza, donde, senza neppur discendere, levatosi in

piedi e appoggiato alla serpa, ascolta il disinvolto

eloquio italo-torinese del cocchiere; di rado passa

nell auto-vettura delle gite turistiche a prezzo fisso;

più spesso arriva a piedi, adagio, armato dell’imman­

cabile macchinetta per le istantanee. Comincia a

squadrar la Mole dallo sbocco di via Po, non riu­

scendo più a staccarne gli occhi, procedendo imme­

more, col viso al cielo, a costo di dar del naso in

qualche passante distratto. E, giunto sotto, ammira,

chiede, consulta con coscienza la guida, fa scattar

l’obbiettivo, compie il giro dell’edificio, deluso di

non poterci entrare. Da tre anni la Mole è chiusa ai

visitatori. Il Museo Storico è provvisoriamente tra­

sferito al Palazzo del Giornale, al Valentino. Il giar­

dinetto che le stava a fianco è cinto da uno steccato

e trasformato in cantiere. Vi spiccano armature di

grue, ponti, tettoie, condutture per lo scarico di

rottami.

La Mole mostrava l’improrogabile bisogno d ’opere

di rafforzo e di pulizia.

Di quando in quando, sull’arco della cupola,

appesi a un gioco di funi e di tavole appaiono uomini

che hanno l’aria d ’acrobati intenti a temerari eser­

cizi e sono invece tranquilli operai occupati ad acco­

modare le tonde finestre allineate lassù come

hublots

d’uno scafo.

Svelta sagoma della Mole, aguzza, elegante, pro­

vata al collaudo di non lievi scosse telluriche. Il terre­

moto del 1886, abbastanza violento da produrre

notevoli danni a diverse fabbriche torinesi, non ri­

spettò neppur questa e diè modo all’Antonelli di prov­

vedere subito non solo ai necessari restauri ma anche

a lavori di perfezionamento che valsero a conferirle

sicurezza. Nei primi anni del nostro secolo una grossa

bufera faceva inchinare la statua in rame del Genio

alato posta al sommo della guglia. Fu un nuovo

esperimento della resistenza dei materiali, sceltis­

simi. La statua, sebbene del tutto ripiegata, non

cadde, nè rovinarono le basi su cui essa poggiava.

Si potè procedere senza premura alle riparazioni, e,

per diminuire la superficie di presa al vento, mutato

alquanto il vertice della guglia, al posto della statua

si collocò una stella di rame dorato, attrezzandola

in maniera da potervi accender sopra, quando si

voglia, un faro elettrico.

• • *

Un po’ di storia. È arcinoto che, nell’intenzione

di

chi

ne promosse i lavori, la Mole doveva ospitare

h Sinagoga. La dehberazàooe d'innalzare un nuovo

Tempio era stata presa dsi Consiglio d’amministra-

aooe della Congregazione Israelitica di Torino fin

dal i° marzo 1859 con significato di perenne gratitu­

dine alla memoria di Re Carlo Alberto per l’emanci­

pazione civile da lui concessa mediante lo Statuto.

Un primo tratto d ’area fu ceduto dal Sovrano

e ampliato in seguito con vicini terreni. Il 20 feb­

braio 1862 si bandiva il concorso pubblico: il fabbri­

cato doveva contenere, insieme col Tempio, anche

uffici, scuole e asili. Nessun progetto avendo incon­

trato l’approvazione dei giudici, si ricorse senz’altro

al professore Alessandro Antonelli, che, scartati

quelli proposti, presentò e attuò un disegno proprio.

L ’Antonelli, nato nel 1798 a Ghemme Novarese,

figlio d ’un notaio e secondo di cinque fratelli tra cui

si ebbero, oltre a lui, due avvocati, un medico e un

geometra, era stato mandato giovanissimo al gin­

nasio-liceo di Milano. Di sua iniziativa, contempora­

neamente, si diè a frequentare le lezioni di disegno

all’Accademia di Brera. Trasferitosi a Torino per i

corsi universitari continuò e intensificò gli studi

prediletti presso la scuola del Bonsignore, l ’artefice

del tempio alla Gran Madre di Dio. A ventisei anni

si laureò ingegnere-architetto, e tosto, assunto negli

Uffici tecnici demaniali, gli fu affidata la costruzione

della Curia Massima. Di questo palazzo si erano

smarriti i disegni preparati, circa un secolo prima,

dal Juvara. L ’Antonelli dovè perciò erigerlo aiutan­

dosi con un modello di legno foggiato —

>

alcuni — probabilmente quand’era ancor vivo l’ar­

tista siciliano, o — ritengono altri — poco dopo la

sua morte.

Nel 1828, ottenuta per concorso ima borsa gover­

nativa, si recò a Roma e coronò il proprio periodo

di alunnato presentando un curioso progetto di

trasformazione della piazza Castello in Torino. Pro­

getto immaginoso e audacissimo. Merita accennarvi,

sulla scorta dei ragguagli offerti dall’architetto

C. Caselli, che dell’AntoneUi fu allievo, seguace e

biografo.

Noi proviamo sorpresa non scevra di indigna­

zione, udendo che, ai primi del secolo scorso, generali

e governatori francesi pensassero sul serio di demolire

il palazzo Madama per far della piazza un Campo

di Marte. Ma che si d iri ora, apprendendo che

appunto l’Antonelli, per dare alla piazza una più

grandiosa sistemazione, indicava a sua volta la

convenienza di far a pezzi e portar via il castello?

Egli avrebbe utilizzato i marmi della facciata juva-

riana per fabbricare, sull’area dd Giardino Reale,

un nuovo palazzo adibito a offici ministeriali: nel­

l’interno di questo si sarebbe ricostruito il magnifico

scalone settecentesco. Proponeva altresì la compieta

demolizione delle Segreterie — odierna Prefettura —

dall'angolo del teatro Regio alla Galleria Beaumont

compresa, e nello spazio liberato dall'attuale Armeria,

sull’asse medesimo, suggeriva di costruire una nuo­

vissima Cattedrale con la facciata a sud e i fianchi

prospicienti uno la piazzetta Reafe, l ’altro il giardino.

Questo avrebbe fatto tntt’uno con la piana e nella

sua zona inferiore à sarebbero croati edifici «per le

Pinacoteche,

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*Accademia di M » Arti e i U n ii •.

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