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Come si vede, nessun freno alla fantasia. Ma,

forse, non si trattava che di un saggio scolastico,

senza alcuna idea di realizzazione, ed il cui scopo

era solo quello di metter in luce l’abilità e l’inventiva

del suo autore. Il quale pubblicò il progetto a Milano,

con gran corredo di disegni e prospettive, e ottenne

vivi elogi, guadagnandosi l’immediata iscrizione

all'Albo delle Accademie di Firenze, Milano, Parma,

Torino e Bologna. Egli donò poi l’incarto alla tori­

nese Accademia Albertina quando, nel 1836, vi fu

nominato professore con l ’incarico d ’insegnare archi­

tettura e ornato. Tenne la cattedra per più di un

ventennio, durante il quale numerosi furono i suoi

allievi: di essi, non pochi, saliti in fama, lo ricorda­

rono sempre con fervida gratitudine.

Cominciata subito anche la Ubera attività pro-

fessionale-artistica, ebbe parecchie commissioni per

edifici di vario genere nella nostra città, nel Novarese,

ad Alessandria e altrove. Non di rado l’opera sua

fu richiesta fuori del Piemonte.

Per Novara disegnò l ’altar maggiore del Duomo,

i portici di piazza Mercato, l’ala nuova dell’Ospedale

Civile, diverse case d’abitazione e diè il progetto

per il nuovo Duomo, lasciandolo in omaggio al Capi­

tolo, che l'accettò. Ma a Novara l’opera più cospicua

dell’AntoneUi è la cupola di San Gaudenzio, di cui

gli fu sollecitato il disegno fin dal 1841 : impresa ardua

per la difficoltà di armonizzare le nuove costruzioni

con lo stile del Tempio dovuto a Pellegrino Tibakli.

Fra interruzioni, ritocchi

e

rinvii i lavori si prolun­

garono per trentasette anni. Nel *78 la statua del

Redentore veniva issata sulla cima della

cupola

alta

125 metri dal sudo, costruita

su un duplice giro

LA MOLE ANTONELL IANA ED I L SUO ARCHITETTO

esterno di colonne. Non più di cinquecentomila lire

era costata questa cupola che il Caselli, nel '96,

giudicava « forse il più grande lavoro a colonnati

esistente nel mondo ».

A Torino eseguì dal 1843 al '45 il palazzo di via

Bogino n. 10, tra le odierne vie Battisti e Principe

Amedeo, che doveva servire per il Collegio delle

Provincie e diventò invece, dapprima una caserma,

poi per metà sede della Scuola Superiore di Guerra

e per il resto di uffici erariali. Disegnò case, ville,

palazzine e provvide ad allargare e abbellire il pa­

lazzo del conte Federico Callori, sull’angolo delle

attuali vie Accademia Albertina e dei Mille, arric­

chendolo d ’un intero corpo di fabbrica con una

cappella interna. Nel 1847, membro del Comitato

per il ricevimento a Carlo Alberto, aveva ideato

l’arco di trionfo eretto per la circostanza in piazza

Vittorio Emanuele: l ’improvvisata costruzione entu­

siasmò tanto che non mancò chi avrebbe voluto

mutarla in arco monumentale permanente.

Nè va dimenticata la casa a sette piani ch’egli

progettò e costruì per proprio conto, verso il 1851,

sul corso San Maurizio, all’angolo di via Vanchiglia.

Si temeva che per l ’altezza allora insolita non reg­

gesse troppo. Ma accadde lo scoppio del polverificio

in Borgo Dora e molti fabbricati di Vanchiglia ne

risentirono, restando più o meno danneggiati. Casa

Antonelli no, non riportò neppure una screpolatura.

La sua stabilità era provata agli occhi de’ più

scettici.

Ugualmente dell’Antonelli risulta il disegno della

casa isolata al termine di via Giuseppe Verdi (la

vecchia strada della Zecca), là dove questa s’unisce

al corso S. Maurizio: casa, fino al 1931, occupata

dal Caffè del Progresso.

E a lui è pure attribuita ima costruzione di strut­

tura e proporzioni stranissime, ancora in corso San

Maurizio, a ll’angolo di via Giulia di Barolo, nella

qual via è l ’ingresso al numero 9: una minuscola

porticina che mette subito in una tromba di scale

così ristretta da non potervi nemmeno aprir le

braccia e, ciò nonostante, coi gradini assai comodi

— sette ogni rampa — che portano su su per sei

piani, quanti ne conta, fuori terra l'edificio, oltre a

due piani che s’abbassano nel sottosuolo. La sua

singolarità è data dalle misure: ventisette metri dii

lunghezza in facciata, verso la via Barolo; cinque

metri di larghezza sul fianco prospiciente il corso?

S. Maurizio, o v ’è aperta, da un paio d'anni, una

tega di caffè; m. 0,70 (ripetiamo: centimetri settanta)^

di larghezza sul lato opposto, quanto dire che

taf

parete interna, tolto lo spessore dei muri

i cinquanta centimetri. La forma è di

irregolare. Altezza di questa casa: poco

27 metri. Si spiega come molti forestieri,

mente tecnici e studiosi d'architettura,

Torino non trascurino di visitarla.

Da via Bardo presenta una fisionomia

ma da corso

S.

Maurizio sembra la

d’un fabbricato percosso da un disastro e

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