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sua solenne entrata. I sindaci ed il consiglio

— parte a cavallo e parte a piedi secondo il

rango — si recarono incontro al vescovo ai

confini del territorio e

prò bono adventu

donano

a nome della città due carrate di vino, una

carrata di avena e una carrata di farina. Al

capitolo provinciale dei francescani, che si

radunava a Torino la città concede nel 1469

un sussidio di

10

fiorini.

f)

Feste.

Oltre alla festa di San Giovanni,

a cui provvedeva tutti gli anni, la città nel

1462 costruì a sue spese il palco per la com­

memorazione della passione di S. Stefano, nel

1464 per quella di S. Vittore, nel 1465 per

il martirio di S. Sebastiano.

g)

Spese militari.

Sotto la minaccia di

invasione del Piemonte per parte del duca

di Milano, nel 1467 la città provvede alla

sua difesa, emanando severe disposizioni. Nel­

l'ottobre del 1468 l'invasione milanese è in

atto, si rinforzano le guardie, si provvedono

nuove opere di difesa e si razionano i viveri,

affidando l'organizzazione ai capi casa e ai

capi quartiere. Indirettamente la città con­

tribuiva alle spese di guerra versando il

taxus

al duca.

7.

— Il carattere frammentario dei rendi­

conti non ci permette di valutare esattamente

le condizioni delle finanze del comune di

Torino durante il sec. XV, appoggiando le

nostre conclusioni su una documentazione

così ampia e precisa come sarebbe deside­

rabile. Dal complesso però dei dati che si

sono raccolti, risulta che la base del bilancio

era costituita da imposte sui consumi, vino,

carne, farina, cereali, alimenti non certo vo­

luttuari della popolazione. La

talea

e il

taxus

,

che venivano percepite solo quando il gettito

delle imposte sui consumi non fossero suffi­

cienti a fronteggiare le spese della città, erano

in genere malviste e mal sopportate e dai prov­

vedimenti, anche gravi che la città doveva

prendere per imporne l’esazione, appare evi­

dente che queste imposte, fossero assai impo­

polari. Il ricorso ai prestiti non è eccessivo,

quantunque però un certo bisogno, si avverta

di continuo. Tipica è, tra l'altro, la dichia­

razione colla quale nel febbraio 1471 il mag­

gior consiglio della città approva il conto

del massaro, che a sua meraviglia si accorge

ch'era debitore di molto denaro, mentre spe­

rava che fosse in debito: rum

sperarent eundem

esse debitorem comunitatis

,

eum creditorem de

magna pecunia conira eorum et totius credentie

opinionem.

Quello che però balza evidente

dall'esame dei rendiconti rimastici è una

grande ristrettezza nelle entrate e un continuo

disagio nel far fronte tempestivamente alle

spese. Per disposizione degli StatutT tn

le entrate dovevano essere versate a mani

del massaro del Comune, che poi, secondo

gli ordini del maggior consiglio aveva il com­

pito di erogarle per le spese della città. Questa

norma non

è

osservata e tanto i massari dei

molini, come gli accensatori delle gabelle e

delle altre entrate del Comune, effettuano

pagamenti per ordine del Comune, molte

volte anticipando somme sul canone conve­

nuto per tutto l'esercizio. Quando a fine del­

l'appalto rendono il conto al Comune, non

versano che piccoli residui, avendo in antece­

denza erogato tutto quanto essi erano tenuti

a pagare. Di qui grande confusione e poca

chiarezza nella gestione complessiva, impres­

sione generale di una amministrazione farag-

ginosa, dispersa in una infinità di carte e

ripartita in una serie indefinita e imprecisa di

contabilità, che ben spiega come il maggior

consiglio non avesse neppur chiara la posi­

zione del massaro e potesse restar deluso

nell'apprendere ch'esso era in credito e non

in debito ver

Comune! Formalmente i

controlli sussistevano e in pratica forse erano

anche efficaci, in quanto che i rendiconti

venivano esaminati e discussi con molta

attenzione. Ma una certa trascuratezza non

si può negare, quando, per es. nel 1467 si

rivede in una sola volta la contabilità del

massaro dal 1459 al 1467. quando tra gestione

in appalto e riscossione in economia, le entrate

principali passano dal Comune agli appal­

tatori. e spesso il Comune deve gestire per

forza le entrate, quando nessuno compare

per accensarle come avvenne per la

gabella

minuta

nel 1464.

Dal lato formale amministrativo esazioni

e controlli sono ad ogni modo impeccabili e

non differiscono da quelli della finanza ducale.

I rendiconti venivano dati al

magister rado

-

num

del Comune, assistito dai

racionatores

, i

quali percepivano un compenso che era a

carico di chi presentava il conto. Le entrate

venivano minutamente controllate e così le

spese, che si accettavano

in soluium

solo in

q u a n t o

regolarmente autorizzate e documen­

tate. Ove tra entrate e spese, risultava un

residuo, veniva senz’altro versato; se il conto

pareggiava, se ne dava atto nella

condusio.

Seguiva la dichiarazione di scarico nel con­

tabile. Curiosa è la riserva che compare nei

rendiconti del massaro che, se si fosse in

seguito rilevato un errore o una dimenti­

canza non doveva imputarsi a malizia. È

difficile dire se questa dichiarazione fosse

un'eccezione pregiudiziale di buona fede o

un espediente per evitare fastidiose questioni

di rendiconto. Probabilmente fu l'uno e l'altro.

M A A IO C H IA U O A H O